Archivio mensile:febbraio 2010

Negare i contenuti alle persone

Non è possibile mostrare oggi un video del pezzo di Pupo e Emanuele Filiberto prendendolo da YouTube: non si trova. Ieri ce n’erano decine con centinaia di migliaia di views, oggi non si trovano (cercate voi) o al loro posto, come al posto di tutti i brani eseguiti a Sanremo, appare una scritta:

Questo video include contenuti che sono stati bloccati dallo stesso proprietario per motivi di copyright.

Così sono spariti migliaia di video. Rimossi. Ma la gente continua a cercare. Da allora è stato un fiorire di parodie, rimontaggi, varianti che cercano di “intercettare” le ricerche degli spettatori che vorrebbero ascoltare le loro canzoni preferite. In primis la geniale parodia di Elio che vedete qui sopra. Nei giorni dopo il festival abbiamo condotto un piccolo monitoraggio relativo al Festival e alle reazioni sui Social Media, compreso YouTube; per gran parte il monitoraggio è riservato, ma ve ne riporto due passaggi e un grafico che evidenziano la notevole presenza di spezzoni di Sanremo a partire da domenica e il loro repentino calare in seguito.

Su YouTube sono state rintracciate quasi 10.000 evidenze inerenti a “Sanremo 2010”, a ridosso della finale (20/02). A mercoledì (24/02) le evidenze sono circa 7000.*

Come vedete, e come era immaginabile molti utenti hanno caricato i video di Sanremo presi dalla TV, questi video sono stati visti centinaia di migliaia di volte in un paio di giorni, poi sono stati rimossi in modo rapido e efficace. Oggi è praticamente impossibile trovare su YouTube uno spezzone di Sanremo!

Il motivo per cui vengono rimossi è che le canzoni di Sanremo hanno vari titolari di diritti, autori, reti televisive,case discografiche e nessuno può assumersi la responsabilità di tenerli online senza il consenso di tutti gli altri. Per non sbagliare si rimuovono e vissero felici e protetti…

Peccato che così facendo si stia letteralmente togliendo dalle mani dei consumatori un prodotto che vogliono. Non ho mai visto un caso in cui un produttore strappa di mano a dei potenziali clienti il proprio prodotto, negandolo a chi lo vuole. Eppure è quello che sta succedendo. Certo, non c’è un modo di monetizzare quei contenuti (a parte che in partnership con YouTube ci sarebbe), ma lasciarli non costituirebbe nemmeno una perdita e sarebbe un’ottima promozione.

Così facendo non si rischia di creare un rapporto conflittuale tra produttori di contenuti e fruitori? Non si rischia di incentivare vie alternative per vedere quei contenuti, quali la pirateria? Le centinaia di migliaia di search per quelle canzoni non sono forse il mercato della musica che “urla“: vogliamo vedere le canzoni qui e ora, su YouTube! Forse per i discografici italiani è ora di ascoltare e cercare di costruire valore fuori dalla solita catena distributiva che molti consumatori hanno ormai abbandonato.

(*=dati HAGAKURE estrapolati da Youtube.)

Internet e la schizofrenia dei media

Scrivo questo post durante Meet The Media Guru Focus, edizione “italiana” degli incontri alla Mediateca di Santa Teresa dedicata stasera a Eretici Digitali. Sono presenti tre illustri esponenti del giornalismo digitale Italiano: Marco Pratellesi assieme ai due autori di Eretici Digitali Vittorio ZambardinoMassimo Russo.

Ho deciso che sottoporrò ai tre giornablogger una questione che mi gira in testa da qualche settimana e che ripropongo in real-time a voi qui: i media ultimamente si stanno rapportando alla Rete in modo davvero schizofrenico.

Forrester research impone ai propri dipendenti di chiudere i propri blog che non sono sotto il dominio forrester.com, al contempo la BBC “ordina” ai propri giornalisti di aprire Twitter e spargere il britannico verbo sui Social Media.

Oggi pomeriggio la seconda piattaforma di Blog al mondo, la stessa che ospita questo blog,Wordpress.com ha chiuso un post senza avvisi e spiegazioni e senza avvisare la titolare del blog. Massimo Russo ha appena raccontato di come Amazon, una volta scoperto che non aveva i diritti per vendere un libro (ironia della sorte il libro era “1984” di Orwell) ha semplicemente fatto sparire 1984 da tutti i kindle di chi lo aveva acquistato. Da giorni si parla di un giovanissimo blogger che è statoradiato (si sarebbe detto una volta) da TechCrunch.

Potrei trovare altre mille esempi, ma mi fermo. Tutti, troppi, invocano delle regole per la Rete, ma secondo me la matrice comune è che non ci sono le procedure.

– Come si devono comportare i giornalisti sulla Rete, nei Social Network, con Twitter?

– Come si gestiscono le relazioni con i soggetti attivi del Web?

– A chi appartengono i contenuti? Come si possono reclamare?

– Come si rettificano gli errori sul Web?

– Qual è la prassi per relazionarsi con un blog?

– Su che piattaforme e device devo far girare le mie notizie? Devo farle pagare?

Non ci sono le procedure per tutti i casi di cui sopra, e l’assenza di procedure per realtà molto strutturate quali i colossi editoriali è un vero problemone, alle gradi strutture servono prassi di comportamento che, in questo caso, non si sono ancora consolidate. Da qui comportamenti spesso contraddittori, al limite della schizofrenia. Sono domande, queste assieme a tante altre, fondamentali a cui nessuno ha ancora fornito una risposta. Come nessuno ha ancora risposto alla domanda delle domande: chi ha queste risposte? A chi spetta stabilire queste procedure?


Nativi Micidiali: a 16 anni già chiedono di essere pagati per fare un post.

Avevo espresso alcune perplessità sul fenomeno, o meglio sull’attenzione a mio modo di vedere smisurata che ultimamente veniva riservata ai Digital Natives. Ne avevo parlato in questo post, chiedendomi e chiedendoci se tutta questa enfasi fosse dovuta davvero a dei talenti eccezionali (almeno quelli visti all’incontro romano di Capitale Digitale) o se invece non colpisse l’immaginazione di noi adulti sentir dire le stesse nostre frasi a dei ragazzini. I Nativi Digitali (definizione di comodo per indicare coloro che sono nati  cresciuti a contatto con le tecnologie digitali) o almeno le piccole star tra di loro sono dei veri talenti o sono solo “figli della transizione da atomi a bit e ci colpiscono per questo? Stiamo scoprendo dei geni o creando dei mostri? Probabilmente nessuna delle due, avrei detto anche io, almeno fino alla notizia di due giorni fa. 🙂

Succede che il più straordinario tra loro, l’ospite straniero, il role-model ultima esportazione della terra dei McDonald sia stato beccato con le mani in pasta: ha chiesto come autore di TechCrunch all’azienda che doveva recensire di essere pagato (con un computer) per fare un post di review. . Il peccato maximo per un blogger. 🙂

Daniel Brusilovsky, il nativo digitale che a Roma, con un filo di spocchia parlava dei suoi guadagni (30/40.000 dollari l’anno, almeno quelli dichiarati:-) ), delle sue aziende e dei suoi articoli si comporta già come il peggiore dei cronisti di mezz’età. Ruba le tartine, chiede regali per fare il suo lavoro. Ha costretto il povero Michael Arrington a pubbliche scuse due giorni fa.

Questo proprio il mese (maledetti tempi di stampa…) in cui WIRED incensa tutti gli altri partecipanti a quel meeting capitolino proponendoli, nel numero di marzo in edicola, come possibili ministri o Presidenti del Consiglio. Non siamo ridicoli, dai! Che poi si fan beccare con le dita nella marmellata proprio quando il giornale esce in edicola 🙂 Mi sa che stiamo correndo troppo, sarebbe stato meglio candidarli (seriamente) a rappresentanti del loro Liceo e sarebbe meglio abbassare un po’ i riflettori da dei ragazzi sicuramente bravi e intraprendenti, ma appunto ancora dei ragazzi. Lasciamoli coi loro genitori, lasciamoli andare a scuola. Rischiamo altrimenti di insegnar loro il peggio del nostro mondo e di impedirgli di imparare le basi etiche del lavoro.

Il buon Brusilovsky, con un post verosimilmente scritto dai suoi genitori, si ritira a studiare e fare il teenager per un po’. Ottima idea, Daniel: hai tutta la vita davanti per avere successo, non avere fretta. Riccardo, Luca cosa ne dite: facciamo tutti un passo indietro su questo tema? Proviamo a aprire un dibattito più noioso forse, ma molto più importante: quale educazione in un mondo digitale?