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Misurare facebook

Pubblico un piccolo estratto in anteprima del nuovo libro in uscita questa primavera, come promesso ne terrò una copia omaggio per ogni aiuto significativo che verrà adottato nel libro. Ecco un tema importante, misurare le proprie attività su FB, vi pare manchi qualcosa?

Abbiamo visto quante attività e quanto diverse tra di loro si possano condurre dentro facebook. Ma come si può capire se stanno andando bene? Se l’investimento è valso la pena (ROI)? Se le performance sono migliorabili (KPI)?

È molto difficile misurare attività che hanno a che fare con reazioni umane e quindi imprevedibili e con indicatori spesso qualitativi, proviamo comunque a individuare alcune famiglie di indicatori che si possono usare per dare un valore e un giudizio alle proprie azioni su facebook. Troviamo indicatori:

– quantitativi
– qualitativi
– virali
– benchmark

Indicatori quantitativi dentro facebook

Molti ce li fornisce la piattaforma stessa, nel proprio pannello di Insights. Sicuramente sono indicatori semplici da tener monitorati e interessanti:

– il numero di LIKE (followers)
– il numero di interactions (like a un post più commento)
– il numero di post che le persone lasciano in bacheca
– il numero di visualizzazione dei contenuti postati
– il numero di vendite, prenotazioni, partecipanti a un evento generati via facebook
– il numero di link generati in uscita verso altre property

Questi indicatori danno una buona idea della dimensione della propria community e se confrontati a trend dell’andamento della sua gestione e crescita. Indicatori di questo genere sono da valutare con attenzione in occasione di campagne media che abbiano lo scopo di far crescere il numero di follower per capire che effetti abbiamo sortito.

Indicatori qualitativi dentro facebook

Di più difficile individuazione e misurazione sono però altrettanto importanti rispetto ai quantitativi, dato che si tratta di un lavoro di relazioni e l’obietto generale è quello di ampliare e ottimizzare la brand reputation. Sono indicatori quantitativi dentro facebook:

– la crescita organica di like (followers)
– il tasso di abbandono dei followers
– il sentiment dei commenti e post in bacheca
– Il trend delle interactions come misuratore della capacitò di engagement

 

 

Indicatori virali dentro facebook

Anche questi sono di difficile rilevazione, ma molto importanti perché testimoniano un elevato coinvolgimento (in positivo o in negativo) della community e ne rappresentano l’estensione al di fuori dei confini della Page aziendale.

Sono indicatori di propagazione virale:

– le condivisioni da parte degli utenti dei vostri contenuti
– i tag che la vostra azienda riceve
– i post (status update) che citano la vostra azienda e i vostri prodotti
– gli inviti che gli utenti fanno ai loro amici per farli diventare follower o per farli iscrivere a un vostro evento

Indicatori di benchmark

Non esistendo uno storico, un listino o dati consolidati è fondamentale effettuare una controverifica di tutti i dati che si monitorano (o almeno dei principali) confrontandoli periodicamente con quelli dei principali competitor (per i quali non si ha il pannello Insights, quindi tale confronto sarà ovviamente possibile per i soli dati pubblici).

Monitorare pochi dati, strutturalmente funzionali a facebook, chiari indicatori di attività e farlo in modo continuativo e incrociato co la concorrenza è il modo più semplice di avere dei KPI o un ROI facilmente calcolabili. Cercare di misurare troppi dati o di “tirarne fuori” dei valori terzi rischia di generare dei report inutilizzabili. Per strumenti complessi, servono misurazioni semplici.

Internet P.R. in versione ebook (disponibile da oggi a € 2,99 anche per iPad)

L’ho ricevuto in prova stamattina, quella che vedete qui sopra è la versione Ebook di Internet P.R.: Federica da Apogeo mi comunica che verrà rilasciata oggi. I vantaggi dell’ebook (a parte il prezzo) sono dati da: ricercabilità del testo, personalizzazione del font, ipertestualità e molte altre cose… Si potrà leggerlo dal Mac, con Adobe Digital Edition, sull’iPad con iBooks, Stanza o anche online con lettori come Bookworm. Lo si può già acquistare nella maggior parte degli store online, per esempio: LaFeltrinelliBookRepublicIBS o sul sito Apogeo cliccando qui.

YouTube: presidenti a confronto.

È talmente reale ciò che arriva attraverso la rete e YouTube che diventa quasi imbarazzante. Attraverso il web arrivano senza filtri le opinioni delle persone, la vita delle aziende senza il maquillage degli spot e anche la voce dei politici, senza calze sulla videocamera e senza l’artefatto delle tibune politiche. Ecco come si presentano su YouTube i presidenti degli Stati Uniti d’America Barack Obama e dell’Italia Giorgio Napolitano.

Barack Obama

  • Diretto (con un video fatto ad hoc per YouTube)
  • Vicino (sorride, ha una presenza calda)
  • Chiaro (parla guardando in macchina, in un linguaggio semplice e coi sottotitoli)
  • Aperto al dialogo (spiega le sue decisioni e accoglie centinaia di commenti)
  • Ordinato e curato (un canale curato sin nei minimi dettagli)

Giorgio Napolitano

  • Riciclato (sono tutti spezzoni TV caricati su YouTube)
  • Distante (è sempre ripreso da lontano, a volte con macchina traballante e in pose che ne evidenziano l’età)
  • Retorico (parla per la TV, per luoghi comuni, non alla gente)
  • Disinteressato al dialogo (commenti disattivati)
  • Trascurato (un canale approssimativo in tutto, dalla grafica ai testi)

Insomma il confronto è impietoso, e i difetti sono tutti imputabili a una gestione del canale che si dimostra priva di obiettivi e di conoscenza della rete, sembra quasi che il canale sia stato aperto per prendersi della facile copertura stampa in occasione del messaggio di Natale del 2009 e che ora vivacchi semiabbandonato, dando al paese l’ennesimo disservizio e contribuendo a consolidare un’immagine dell’Italia come paese tecnologicamente arretrato, pressapochista e vecchio.

Tutto quello che avreste voluto sapere sul buzz…

…ve lo dice Clio Zammatteo in arte ClioMakeUp, che a forza di usare la webcam al mattino, invece dello specchio, è diventata famosa, ha scritto un libro ed è diventata la “Web MakeUp Artist” in esclusiva per Pupa. Il video online e gli user generated content in particolare sono e saranno sempre più centrali, ce lo dimostrano anche queste due slide di Forrester research secondo cui nel 2011 il video sarà la prima tipologia di contenuto fruita online e il primo tipo di video visto dai teen agers sarà “Videos created by other people”.

La ragione del successo di Clio è che è vera, parla come le ragazze che la seguono e le rispetta e sa proteggerle e proteggersi (“I videotutorial saranno sul canale di Pupa non sul mio YouTube che resta “pulito”, non voglio obbligarvi a vedere delle cose che non volete“), anche se ovviamente ha già imparato il mestiere e si preoccupa di dire che le aziende che la contattano (“e dei cui prodotti non fa le review per rispetto delle sue follower”) comunque “non fanno male”.

Investite 15 minuti a guardare il video di Clio: involontariamente e candidamente ci dà una lezione di come approcciare e gestire i blogger, gli “online influencer”, i “connectors” chiamateli come volete.

E per le marche, quale conversazione?

Verso quale conversazione stiamo andando? Una conversazione collaborativa o una conversazione competitiva? Se lo chiede Luca De Biase in lungo interessantisimo post (qui), introducendo una distinzione che secondo me durerà a lungo.

Nel post di Luca l’attenzione al tema è tutta politica e sociologica. C’è una conversazione collaborativa che è quella che è stata abilitata, resa possibile da Internet, fatta dalle persone e costituita da milioni di microconversazioni distribuite geograficamente e per interesse. Luca individua poi una forma (deviata, deviante, diversa?) di fare conversazione in rete che definisce conversazione competitiva, quella di chi approccia la discussione sul web come una tribuna politica, dove lo scopo non è co-creare qualcosa, ma convincere l’altro (gli altri). O quanto meno disturbare il “competitor”, il concorrente, il rivale politico, etnico, religioso, economico o il rivale nella conversazione in genere. Appare subito chiaro come dietro questi due approcci alla conversazione ci siano due modelli di pensiero, due visioni del mondo, quasi. Il dibattito, molto collaborativo, è già partito di domenica pomeriggio sul blog di Luca e vi lascio a quello per tutti gli aspetti sociali e politici.

Mi aggancio al discorso solo per proporre la variante marketing di questa distinzione, e provare un esperimento collaborativo. Proviamo a immaginare queste due tipologie di approcio alla conversazione per un brand, per una marca. La marca è abituata per definizione alla competizione, in qualunque stanza di marketing si parla di concorrenza, competitors etc etc. Verrebbe da pensare come naturale che un brand avvii delle conversazioni competitive sul web, cercando di dimostrare la sua superiorità. Ma nelle stanze del marketing si vive moltissimo anche di collaborazione: ricerche di mercato, R&D, test di prodotto. A pensarci bene a una marca dovrebbe venire altrettanto naturale avviare delle conversazioni collaborative.

Di primo acchito verrebbe da pensare che dato che il web è fortemente sociale, sia meglio per i brand tirar fuori il loro lato collaborativo. Il fatto è che il web è anche fortemente competitivo (basti pensare a ranking, traffico, aste di keywords) e quindi una marca dovrà giustamente difendersi in un territorio di competizione.

E quando sul web ci saranno marche concorrenti? Due produttori di pasta o di vino o di auto: cosa succederà quando due marche concorrenti si incontreranno nella stessa conversazione? Competeranno o collaboreranno? Avvieranno un dibattito da tribuna o una conversazione aperta?

Altra cosa: chi regolerà queste fattispecie? Come per la pubblicità arriveremo alla conversazione occulta, la conversazione sleale e la conversazione ingannevole?

Il punto è molto teorico, ma può offrire degli spunti a mio avviso interessanti. Domani a Venice Sessions se riesco provo a chiederlo a Martin Sorrell, vediamo che dice… Tornando a noi, quasi certamente la risposta è un po’ di tutte e due, allora proviamo a elencarne casi o forme. Inserite nei commenti un caso vero o teorico di conversazione collaborativa oppure competitiva per un brand? Cosa può fare una marca di collaborativo sul web? E di competitivo?

Perché su Internet le aziende si DEVONO comportare “come le persone”.

Si discute da molto e in varie forme tra blogger, esperti e non esperti di comunicazione online se sia giusto che le aziende adottino modalità di comunicazione tipiche dei social media e cioè pensate per le persone e non per i brand. Il problema è mal posto, secondo me. Per vari motivi.

Esiste innanzitutto la cattiva pratica in cui molti consulenti propongono strumenti inadatti, mentre ce ne sono alcuni predisposti ad hoc. Poi esiste la cattiva committenza, che pretende da progetti sui social media tempi e risultati non ottenibili, viziata da pratiche storiche sui mass media. Infine esiste la cattiva critica, quella rancorosa che si incentra su ogni minimo possibile sbaglio, invece che mostrare la strada. Ed è forse quella che fa più danno, non portando valore e dando visibilità solo all’errore o al pericolo, mai all’opportunità.

Il grande equivoco di fondo è che molte persone, molto familiari col web, si aspettano dalle aziende una conoscenza istantanea e una prassi comunicativa perfetta dal giorno zero. Non accadrà mai. Il valore sta nel portare le persone dell’azienda in un percorso di conoscenza virtuoso che, nel corso degli ANNI, le porti a diventare cittadine della rete a pieno titolo.

In sostanza il dibattito verte sul tema: “in un contesto di persone, come può muoversi l’azienda?” – “E’ giusto prevedere la presenza dei brand nei Social Network?”  – “Le aziende devono stare su twitter?”  –  Etc Etc… Premesso che il vero punto sta come sempre nei contenuti e non nel mezzo (hanno qualcosa da dire queste aziende?), ecco una serie di “perché” le aziende è giusto che pratichino comunicazione nei Social Media. Anche in modo limitativo, anche poco e non troppo bene, ma purché intanto assimilino logiche e criteri e poi li applichino.

– Perché i Social network PREVEDONO la presenza dei brand.

– Perché i brand [su Internet] non hanno molte altre chance, ameno per ora.

– Perché i Social Media stanno prendendo il sopravvento e funzionano in chiave relazionale e non “inserzionistica”.

– Perché per attrarre l’attenzione delle persone devi essere “Human” e non puoi essere solo brand.

– Perché paga.

– Perché è vero che è ridicolo pensare che si possa diventare amici di una macchina, ma è anche sbagliato criticare un mondo perché qualcuno lavora male.

– Perché porsi il dilemma se abbia senso l’agenzia 2.0 è tempo perso. Il problema non è quello, il problema è AIUTARE le aziende a comunicare nel modo giusto. Farlo, non parlarne.

– Perché le aziende sono fatte di persone.

Che poi tutto questo non sia facile, siamo d’accordo. Ma cosa volete: visibilità senza pagare il media e senza fare un po’ di fatica? 🙂

Twitta al senatore: Obama trascina sui social media i senatori USA.

Tweet Your Senator

Tweet Your Senator

Si chiama “Tweet your Senator” ed è una piattaforma di lobbying via twitter: in pratica i Democrats invitano a twittare il nome del senatore del proprio stato esortandolo a votare a favore della legge sulla “health insurance”. Una volta si raccoglievano le lettere, oggi basta una piattaformina di mash-up e si raccolgono le twittate. La piattaforma  è ospitata su barackobama.com caricandola così di tutto il peso presidenziale ed è semplice e intuitiva, provatela: io ho inserito 90210 (il CAP di Beverly Hills, il primo che mi è venuto in mente) e mi si è aperto twitter con pronto il messaggio corredato di hastags e tutto:

To Sen. Dianne Feinstein: We need quality health insurance for every family in our nation now http://bit.ly/DWsN8 #hc09 #CA #90210

Il caso è interessante IMHO per tre motivi:

– Il Presidente USA sta evangelizzando la politica al Web e disintermediando il rapporto cittadino-istituzioni

– L’empowerement dell’elettore USA che viene dotato di strumenti di dialogo diretto sempre più vicini ai suoi usi.

– Un ulteriore endorsement per Twitter come ingranaggio centrale di un ecosistema di conversazione

Vai a Tweet Your Senator.

[via Salvo Mizzi]

Social Media Marketing / Web Vs. Facebook: due modelli a confronto.

Internet e facebook: due tipi di “griglia” molto diversi. Il World Wide Web è per definizione una griglia aperta in cui tutto è condivisibile, riprendibile, cercabile. I Social Network e facebook in particolare, invece, sono griglie chiuse o semichiuse. In cambio di una profilazione molto penetrante e grandi accelerazioni di contatto, posso però vedere solo i contenuti di persone che hanno accettato di essere miei amici o contatti, posso cercare solo tra questi profili e spesso in modo limitato.

Questo diventa un bel problema quando un Social Network arriva a 8/9 milioni di utenti, ma si hanno solo poche migliaia di amici. Diventa un bel problema per chi deve innescare azioni di P.R. o solo predisporre rassegne o monitoraggio della online reputation di un brand.

Alla domanda (oggigiorno frequente) “Cosa si dice del mio prodotto su facebook?“, l’unica vera risposta onesta è: Non è dato saperlo. E’ possibile sapere cosa dicono di un prodotto i propri amici o amici di amici, ma in modo molto ridotto.

Gli strumenti di monitoraggio della reputazione, interni a facebook, infatti  sono:

– la search, che appunto non mostra i contenuti di chi non ci è amico e dà in ogni caso una ricerca non sui contenuti, ma sui profili/pagine (cioè il risultato non è il contenuto ma la pagina/profilo relativa alla search effettuata.)

Lexicon, che però evidenzia solo gli argomenti più discussi e non consente di cercarlo per il brand desiderato.

Diversa la natura dei problemi in fase di promozione, per i quali rimando sia alle slide presentate all’Università di Ancona, sia a post successivi. 

Il punto è quindi: come muoversi, sia in termini di ascolto, sia in termini di contatto/diffusione dei contenuti su un sistema a griglia chiusa, dove se un utente parla di me non lo vengo a sapere?

My 2 cents: strutturare profondamente e intensificare sempre più la propria presenza, il proprio network e contare sul modello “sociale”, per cui buoni contenuti attirano sempre più utenti e loro stessi fungeranno da vostre “antenne”.

Cliccate sull’immagine per ingrandirla.

 

LINKS

L’evento di oggi, 11 maggio a Ruling Companies

Scarica il dossier di Lele Dainesi: Social-Networking

Segui l’evento live sulla pagina facebook di The Ruling Companies

Social Media Marketing all’Università di Ancona.

Oggi alle 17:00 interverrò all’incontro organizzato da Club TI Marche ad Ancona dal titolo: “Creare conversazioni dentro e fuori l’azienda”. E’ una tavola rotonda dalla durata limitata così ho preparato un intervento sintetico che mette in luce i punti di difficoltà, ma spesso anche opportunità, che le aziende incontrano quando devono affrontare un’attività di marketing sui Social Media. La presentazione si intitola:

Social Media Marketing 5 problemi/opportunità.

[powered by Unilever] “I nostri brand non sono più nostri”. I 5 nuovi comandamenti del marketing.

Simon Clift è il Chief Marketing Officer (CMO) di Unilever, uno dei giganti mondiali dei brand Food, HomePersonal Care.

Advertising Age è da un bel po’ di decenni la “bibbia” del mondo della comunicazione.

Il CMO di uno dei più grandi spender di pubblicità dichiara sulla bibbia dell’Advertising: “Brands aren’t simply brands anymore. They are the center of a maelstrom of social and political dialogue made possible by digital media”.

Il mantra recitato da Clift sembra quello che da qualche anno i marketing Blogger predicano incessantemente. Continua a leggere