
La “mano” di Wikileaks scoperchia le email del partito democratico, il cui simbolo è l’asino e le rivela al mondo intero.
Che ormai il marketing digitale sia entrato in pieno nella politica ce lo ripetiamo da alcuni anni. Che il fenomeno sia giunto a maturità è ancora da vedere. Nella settimana che divide il congresso Repubblicano (che ha nominato Donald Trump come candidato alla Presidenza degli Stati Uniti d’America) da quello Democratico (che nominerà come candidata Hillary Clinton, affermatasi su Bernie Sanders prevalentemente in virtù dei “super delegati”, cioè i grandi elettori scelti direttamente dal partito e non votati dalla base) irrompe sulla scena Wikileaks che, con tempismo perfetto, “rilascia” quasi 20.000 email. Queste email, tra le varie cose, dimostrerebbero come il Partito Democratico e alcuni primari media nazionali abbiano intrecciato accordi per discreditare l’avversario della Clinton (Sanders) e favorirla nella corsa alle primarie consentendo al comitato Clinton di scrivere o editare pezzi di articoli che la riguardano. Se ciò fosse vero sarebbe segno di gravissima parzialità (cioè essere di parte, poco corretti) sia da parte del Partito Democratico sia di Politico e delle altre testate coinvolte.
Il “Leak” (“la soffiata”) segue lo stile ormai classico di Wikileaks che si avvale di una triangolazione di strumenti: piattaforme Wiki per la pubblicazione collettiva, Social Media per diffondere e “sollevare” l’opinione pubblica (un vero influencer, Julian Assange, il patron di Wikileaks!) e Search (motori di ricerca) perché ognuno possa accedere ai documenti e formarsi la propria opinione accedendo alla fonte o meglio al “leak”. Le fonti Wikipedia le tiene ben segrete come da deontologia giornalistica, pur non essendolo.
Le rivelazioni (tecnica non certo nuova, ma con alcune caratteristiche senza precedenti grazie ai media digitali) sono fonte di grande imbarazzo e in una fase così delicata di una campagna elettorale possono giocare un ruolo non indifferente.
Alcuni degli allegati o dei passaggi delle email (derivanti da almeno 7 account di notabili del partito democratico) pubblicate, infatti, stanno già provocando effetti molto rilevanti. Da #DNCLeaks vengono svelati:
- il playbook per contrastare Trump, dando un singolare vantaggio competitivo all’avversario e indebolendo gli argomenti di Clinton
- i nomi dei finanziatori, esponendo un fianco da sempre debole per Hillary Clinton
- le discussioni interne ai dirigenti del partito che tramano una strategia per screditare Sanders alle primarie
- i documenti di marketing elettorale sul target “Latinos”, che disumanizzano la campagna di Clinton il cui team parla in termini di marketing di un pubblico da sedurre
- il sospetto che il team Clinton abbia attivato dei “Troll” per contrastare online Bernie Sanders e screditarlo presso la propria base di giovani elettori presso cui insitllare (falsi) dubbi
- altro ancora da ricostruire…

Una slide del documento strategico “anti Trump” del team di Hillary Clinton, rivelato da Wikileaks.
Un primo ed immediato effetto? La rinuncia da parte di Debbie Wassermann Schultz, presidente del Partito Democratico, a parlare alla Convention.
Insomma Wikileaks sta giocando un ruolo davvero primario aprendo uno scandalo e generando un dibattito e formando l’opinione pubblica come succedeva solo ai tempi dei grandi network o giornali. Ma non ha dietro un gruppo industriale o editoriale e si avvale prevalentemente della collaborazione di “Whistleblower” o di altre forme di diffusione anonima di documenti riservati (leaks) fondata da un attivista oggi ricercato dal governo di appartenenza.
Insomma una sorta di “contropotere” a quello che Bauman chiama il “sesto potere“, quello della società della sorveglianza destinato a prendere il posto del Quarto Potere ( i mass media) di Wellesiana memoria e forse a saltare a piè pari il Quinto potere (che non si è ban capito se doveva essere le TV o i social network).

La “fortezza informatica” della NSA impenetrabile dall’esterno, ma dal cui interno sono trapelate comunque informazioni sensibili sulle attività di sorveglianza del governo USA tramite le rivelazioni di Edward Snowden e Wikileaks.
Un potere al tempo stesso centrale e decentralizzato, quello della sorveglianza: il “grande fratello” ci osserva, ci legge, ci spia e accumula dati da dentro i palazzi dei servizi di sicurezza, da cui però trapelano o traboccano le informazioni stesse attraverso i cavi di Internet e, una volta immesse “in Rete” non possono più essere rimosse, ignorate o nascoste.
Non è un caso, infatti, che né il quarto potere (la stampa) né il quinto (TV e Social Media) non amino il sesto potere, dunque, che le disintermedia e ne espone gli accordi segreti, come in questi caso. Una vera battaglia per il controllo (o rivelazione) dell’informazione.
E oggi il sesto potere fa un passo in più: scende in campo in una campagna elettorale. Una scelta che sfida il concetto di neutralità e interesse superiore dei cittadini alla base dell’etica dei Whistleblower (dobbiamo trovare una parola italiana per questo… NdR).
La reazione dei mass media e dei social media è di guardare dall’altra parte. Sollevando temi quali l’affidabilità e la trasparenza quando è proprio la loro a essere sotto scrutinio.
Google e facebook (spesso associati o ritenuti in favore di Clinton o chiaramente, e secondo il Guardian in modo grave e scorretto, anti Trump) sono accusate di alterare i loro algoritmi che regolano la visibilità delle notizie e di marcare il sito Wikileaks come “fonte pericolosa”. Molti ritengono che Twitter abbia deliberatamente oscurato l’hashtag #DNCLeaks, se sia vero o sia un fenomeno percettivo legato alle “bolle informative” di Internet, resta sempre un problema di equilibrio dell’informazione.
Le principali testate americane glissano sull’argomento. Quelle italiane lo ignorano completamente in un mix di partigianeria, provincialismo e scarsa comprensione della materia un po’ imbarazzante. Come orientarsi in questo conflitto sull’accesso all’informazione tra quarto, quinto e sesto potere, tra mass media, social media, sorveglianza e “leaks”? Di chi fidarsi?
Sembra proprio essere la fiducia (o la sfiducia) la chiave di volta che tiene insieme media e scenari infornativi così diversi. Tra i “media di cui si fida” dominano infatti, ormai, motori di ricerca e social media che non sono veri e propri media, ma “filtri”. Le persone faticano a a capirne la differenza e tendono a sovrapporre testate editoria, motori di ricerca e social network: danno quindi a una notizia “trovata” su Google o facebook peso e autorevolezza proprio perché l’hanno trovata su Google o facebook, in quanto proviene “dal proprio network” o “dai propri amici”, a cui riconosciamo il massimo della fiducia in ogni materia, senza però una vera ragione

Le fonti di cui ci si fi da di più secondo l’Edelman Trust Barometer 2016
Quando i leader sono meno credibili dei “technical expert” o dei propri amici (una persona “simile a me” o dei loro stessi dipendenti) dobbiamo tutti porci delle domande: da noi che dell’informazione siamo fruitori o produttori ai poteri informativi (quarto, quinto o sesto poco cambia) ai leader stessi che di fatto perdono potere perdendo attendibilità e attenzione.
Nel frattempo resta da capire come districarsi tra queste fonti: mai come oggi serve il giornalismo come professione, nella sua forma più integra ed indipendente, ma mai come oggi, con un modello economico sottostante in grave crisi, il giornalismo è debole e soggetto all’influenza del potere e a crisi di credibilità. Benvenuti nell’era del sesto potere, dove l’informazione è in mano a chi controlla server, videocamere e algoritmi.
Ottimo questo pezzo Marco.
Se a queste relative novità si aggiunge l’altra dimensione emersa in queste settimane e riferita alla campagna di Trump (ma immagino anche della Clinton) sorgono molti dubbi in merito al libero esercizio del voto che è sempre stata la base di elezioni rappresentative nel mondo occidentale(almeno a parole)..
Insomma qualcosa come 50 milioni di cittadini americani sono stati tracciati, schedati, seguiti, intercettati, ascoltati, geo e ideo localizzati.
In pratica qualche decina di migliaia di volontari organizzati e formati dallo staff sempre più sofisticato di Trump avrà accesso permanente digitale a queste schede in base al territorio e alle vicinanze. I volontari potranno così andare di porta in porta sapendo perfettamente prima con chi parleranno dopo aver squillato il campanello, le sue idee, i suoi gusti, le sue fobie, i suoi acquisti anche del giorno prima e, sempre in base a schemi predisposti, sapranno come e che cosa argomentare per convincere l’interlocutore a confermare o cambiare le sue ben note preferenze.
Mi dirai, e avresti ragione, che non c’è molto di nuovo poiché da molti anni sono disponibili e acquistabili da banche dati commerciali informazioni sui consumi e sulle preferenze elettorali degli elettori.
Qui di nuovo c’è la dimensione del fenomeno e la disruption di tutto quello che abbiamo imparato in merito al processo democratico.
Mi ero ormai abituato a considerare gli stati uniti una oligarchia invece che una democrazia. Oggi però osservo che gli algoritmi dominano il gioco elettorale e che molto presto, se non già oggi, queste tecnologie si userano anche in Italia.
Del resto immagino tu sappia che il governo messicano ha vietato per legge l’uso di punti di osservazione digitali nei luoghi dove si vota perché l’applicazione di tecniche derivanti dal neuromarketing sono capaci di identificare dalla semplice ripresa degli occhi dell’elettore la sua scelta elettorale.
Non credi che persone come te, come me e come tanti altri che queste cose le sanno o le intuiscono possano organizzarsi per evitare di cedere ogni facoltà di scelta, ogni autonomia, ogni giudizio a proprietari (per fortuna non sono fascisti, ma potrebbero ben esserlo e se Trump vincesse chissà…) degli algoritmi?
Grazie Toni,
il tuo apprezzamento mi è particolarmente caro, come sai!
Certo, credo in Europa e in Italia manchi ancora anche solo la consapevolezza del fenomeno. Sai anche che, come sempre, siamo a far girare la ruota del criceto e chi si dedica, se non in occasioni sporadiche a misurare la cosa e a “criticarla” nel senso greco del termine? Cioè a separare il giusto dallo sbagliato, l’utile dal pericoloso?
https://it.wikipedia.org/wiki/Critica
Aggiungo anche, sulla amata America. Tutto vero quello che dici, ma meglio delle mazzette da dieci euro date a Napoli fuori dai seggi. Pure sul voto di scambio siamo arretrati, era la nostra specialità! 😀
http://www.ilmattino.it/napoli/cronaca/primarie_napoli_video_brogli_fanpage-1595297.html
Scherzo a parte, l’America come sempre ha grandi mali e grandi ideali.
Penso a cosa sarebbe il mondo di cui parli senza la cultura del whistleblowing e la capacitò dell’America di criticare, sputtanare se stessa e ripartire comunque…
Due cose Marco:
a) per chi fa il nostro lavoro e ci campa mi pare d’obbligo avere, maturare ed esercitare un approccio critico alla realtà, in Italia come in America,
Altrimenti non si capisce bene perché ci paghino se non per unirsi al coro di SI e questo è, almeno per me, pessimo segnale;
b) hai ragione da vendere quando dici meglio l’algoritmo che ‘le dieci euro date a Napoli fuori dai seggi’. questo però non toglie che quest’ultima dinamica è, per me, assai più allarmante.
Ciao
Sul punto b) certamente! Molto più allarmante.