È abbastanza duro il pezzo di stamattina su AdvExpress, sul nuovo logo UPIM disegnato da uno dei 4.740 partecipanti al concorso indetto su Zooppa. La critica verte su due fattori: una somiglianza con il celebre logo Accenture (ritenuta qui senza un senso compiuto) e la constatazione che “pezzi” di comunicazione strategici, come un logo, richiedono l’intervento di professionisti che conoscano il brand, che lavorino il tempo e coi mezzi necessari e non un concorso (e qui sono molto d’accordo). L’articolo gira da oggi nelle principali liste di pubblicitari e lo si trova su ADVExpress con la seguente opinione di Antonio Marazza, general manager di Landor Italia:
“L’idea del nuovo logo di Upim non è molto originale: graficamente, il segno che caratterizza il logo è uguale a quello di Accenture, il cui rebranding su scala globale è stato gestito da Landor nel 2001. Anche la motivazione alla base della scelta è poco convincente: nel caso di Accenture invece c’è un chiaro legame tra posizionamento di marca, nome e identità: il concetto di ‘accento sul futuro’, che riassume la visione di una azienda che mette in pratica l’innovazione per cambiare e migliorare il modo in cui il mondo vive e lavora. Il caso Upim – ha continuato Marazza – dimostra ancora una volta che non ci sono scorciatoie: la creazione di una identità di marca è una attività strategica, che deve gestita attraverso un processo collaudato e guidata da professionisti“.
[Leggi l’articolo integrale su AdvExpress (previa registrazione).]
Di diversa opinione uno dei giurati, Francesco Morace che (sul blog di Zooppa) parla di “creatività degli sciami e non più delle agenzie monolitiche e multinazionali” e di “un paradigma nuovo nel quale creatività dal basso e quantità di stimoli si sono poi tradotti in qualità della proposta”.
Il fatto, poi, che questi concorsi privilegino la partecipazione rispetto alla qualità, pare capirsi dalle parole di Alessandro Cappellotto (communtiy manager di Zooppa nel video in cui si annuncia il vincitore), Alessandro si preoccupa di ribadire: “siamo contenti della grande partecipazione che c’è stata, sappiamo che c’è molta attesa […] e ci sono tante aspettative, ci dispiace che solo una persona potrà vincere…”. Insomma Zooppa (giustamente) si preoccupa della sua community e di come tenerla contenta, più che dell’effettivo valore del lavoro realizzato.
Non sono così sicuro che in nome del crowdsourcing si possano azzerare i livelli e mettere tutti i talenti sullo stesso piano, rischiando di azzerare anche la qualità. I designer e le agenzie che hanno costruito la fortuna di molti brand è giusto che costino molto, e forse devono essere proprio loro il primo interlocutore naturale quando un’azienda vuole ripensare la propria immagine.
Costruire un logo vuol dire fare la sintesi massima dell’identità di un’azienda. È una cosa dannatamente difficile, forse è l’esercizio di comunicazione più difficile in assoluto per un creativo. A mio modo di vedere non va bene trattare una cosa importante con la leggerezza di un concorso sul web: serve una ricerca accurata di talenti qualificati, la costruzione di un rapporto tra l’azienda e i designer, un presidio strategico sull’intero processo. Poi lo si può fare online o offline, dentro una community o come volete, ma servono tutti questi elementi: servono talenti di grande esperienza per fare un logo di livello, altrimenti la differenza si sente.
Per finire il punto NON è nemmeno quanto sarebbe costato il logo realizzato da “una grande agenzia” (posto oltretutto che 12.000$ non sono per niente pochi, a cui ne andranno sommati, immagino, almeno altri 15.000€ o più dati alla piattaforma!), ma quanto rischia di costare un logo che a un’analisi critica di professionisti mostra da subito delle debolezze.
Voi che ne pensate? Del nuovo logo UPIM e della creatività crowdsourced realizzata su marketplace online?