38 pensieri su “Zooppa/UPIM: i limiti dei concorsi creativi online iniziano a farsi sentire?

  1. luca

    Mi sembra un’ottima analisi la tua…
    Personalmente preferirei attingere alle community (5000 persone son tante) per degli stralci di idee, una raccolta di informazione (che è quello che zooppa permette) per poi scremare, indirizzare e far migliorare a un gruppo di esperti che possano tramutare questi gesti in un brief completo ed esaustivo per l’agenzia.

    Ma anche siamo nel 2010, sbagliare ci sta. Però ci vuole la discussione. Ben vengano i tuoi interventi. Grazie Marco.

  2. Luigi Gioni

    Ho tentato anni fa di far produrre la grafica della possibile livrea del bus ufficiale dell’INTER con risultati agghiaccianti per cui feci partecipare sotto copertura alcuni grafici amici professionisti. I limiti del crowdsourcing così come è stato proposto è che NON è crowdsourcing ma una asta al ribasso, si tratta di marketplaces dove contribuiscono dilettanti allo sbaraglio spesso non guidati in un processo complesso e collaborativo di innovazione (esistono software che lo consentono a livello Enterprise (come Spigit). A parte ciò il mito della creatività deve essere ridimensionato come dice Edoardo Boncinelli nel suo “Come nascono le Idee” e ricordiamo che anche i professionisti copiano, si copia da sempre! Evviva il Creative Commons! Anche Accenture usa un semplice segno di maggiore non certo originale solo che ha investito così tanto in visibilità che si appropria del segno di un operatore logico e lo fa suo come lo swoosh di Nike. Infine debbo dire che è divertente che per UPIM, che rammento essere l’acronimo di Unico Prezzo Italiano a Milano, venga usato il > forse per antica rivalità con il PAM altro acronimo che significava Più a Meno 🙂

  3. Marco Massarotto

    Luigi non sono d’accordo su due cose:

    “anche i professionisti copiano, si copia da sempre!” Qui il problema non è che sia copiato, è che pare inadatto.

    “Anche Accenture usa un semplice segno di maggiore non certo originale solo che ha investito così tanto in visibilità che si appropria del segno di un operatore logico e lo fa suo come lo swoosh di Nike.” Nel caso di Accenture il simbolo ha un senso molto rilevante: Accenture fa consulenza a forte matrice tecnologica, UPIM vende vestiti. Nel caso di Accenture il logo è appropriato a prescindere dal budget investito.

    Il lavoro dei creativi è fare una sintesi di senso. Serve umiltà, fatica, esperienza e metodo.

  4. Stefano Quintarelli

    ma gli altri 4739 copiavano qualcos’altro ?
    ovvero, chi lo ha scelto tra 4740, non poteva sceglierne uno che si discostava dal “maggiore” di accenture ?
    criticare il logo perche’ ricorda accenture, quando ce n’ernao altri 4700 che non lo facevano, ma non sono piaciuti al committente, mi pare un ragionamento molto tirato.

    non parlerei di crowdsourcing. determinare lo stato del traffico guardando i cellulari come si spostano e’ crowdsourcing. far fare OCR leggendo e trascrivendo i Captch e’ crowdsourcing.

    che in una crowd ci siano una handful di creativi fa parte della legge dei grandi numeri (forse per l’autobus i numeri non erano ababstanza grandi). Zooppa è un marketplace che destruttura il rapporto creativo-cliente precedentemente mediato dalla agenzia, reintermediando a costi inferiori e rendendolo strutturalmente meno stabile.

    imho

  5. Marco Massarotto

    Giusto Stefano, destrutturazione, non crowdsourcing. Sul discorso “copiato”, la critica non verte tanto su quello, ma prende a spunto il simbolo (peraltro, appunto, uguale a un logo stranoto) per analizzarne (a detta di Marazza) l’inadeguatezza tecnica. Ovvio poi che, avendo disegnato Landor il logo Accenture, non ci vada giù leggero 🙂 Il punto centrale, di fatto, è se la brand identity richieda comunque dei professionisti o possa essere realizzata su un “marketplace destrutturato” (:-) ) e con quali conseguenze.

  6. Fabio Gasparrini

    Caro Marco,
    lo scandalo non mi sembra tanto la presunta copiatura, checché ne dica il Sig. Marazza (il logo Accenture è senza dubbio più pertinente, ma l’idea del segno “forward” non è certo una property esclusiva di Landor). Aggiungo, senza voler fare polemiche, che pure i superprofessionisti hanno i loro peccatucci da far dimenticare, come l’osceno marchio realizzato per italia.it, che infatti è sparito dalle case-history presentate dal sito Landor.

    Il vero scandalo è il fatto che un grande marchio come Upim possa anche solo pensare di affidare la realizzazione del suo marchio – un elemento fondamentale della sua immagine – a un concorso, che per sua natura esclude i professionisti della comunicazione. Il risultato fa spavento, non solo perché è brutto, ma anche per la destrutturazione dell’industria e delle competenze che implica.

  7. Marco Massarotto

    Certo, Fabio io ho voluto solo riportare le prime opinioni e ospitare qui nei commenti le successive, come la tua. DI fatto è quello che dico anche io: servono i talenti e quelli bravi e presidio strategico del progetto.

  8. Mirko Finzi

    ciao a tutti, intervengo nella vostra discussione per dire la mia.

    @Fabio
    scrivi: Il vero scandalo è il fatto che un grande marchio come Upim possa anche solo pensare di affidare la realizzazione del suo marchio – un elemento fondamentale della sua immagine – a un concorso, che per sua natura esclude i professionisti della comunicazione.

    per essere professionista bisogna per forza essere riconosciuti da qualche ente? bisogna lavorare in una grossa agenzia? il talento e il genio personale li escludi a priori? secondo te, da quanto scrivi; si dovrebbe “nascere imparati”. Zooppa è uno strumento che permette visibilità alle nuove leve.

    scrivi ancora:Il risultato fa spavento, non solo perché è brutto, ma anche per la destrutturazione dell’industria e delle competenze che implica.
    oh, Fabio,non è bello ciò che è bello ma è bello ciò che piace

    @Marco, bellissima la tua analisi, ma forse ti sfugge quale sia stato uno degli obiettivi del brand: fare comunicazione on line. E mi spaventa, sapendo cosa fai per vivere, che tu non lo abbia percepito.
    solo questa discussione, alimenta ancora di più la notorietà del brand. o forse UPIM è tra i tuoi clienti? qualora fosse così, tanto di cappello alla tua professionalità

  9. Sara Caminati

    Trovo che l’operazione di Upim sia riuscita benissimo. Tanta partecipazione prima, durante e dopo il concorso.
    Per quanto riguarda la scelta creativa non mi sento nella posizione di esprimere alcun giudizio.
    Zooppa è una community ricca di talenti che, grazie a queste operazioni, hanno la possibilità di mettersi in gioco.

  10. Marco Massarotto

    @Mirko è ovvio che *uno degli obiettivi* era fare comunicazione online, trovo assurdo però che per *fare comunicazione online* e generare un po’ di post (è tutto da capire poi quali siano i risultati) un’azienda metta in gioco la propria brand identity… Se voglio far parlare di me online ci sono mille modi che non passano per il “far rifare il logo”. Peraltro io sto solo riportando posizioni e critiche e chiedendomi se abbia senso “affidare” la brand identity online in questo modo, non certo per criticare le piattaforme collaborative, come anche scritto.

    UPIM non è un mio cliente, i clienti della mia agenzia sono aggiornati sempre qui: http://hagakure.it/clienti e se lo fosse sarebbe assurdo che prima li consigliassi a fare una cosa e poi la criticassi, non trovi? 😀

  11. Marco Massarotto

    @Sara, detta così sembra che l’unico criterio sia il numero di partecipanti. In questo caso specifico, secondo me, il primo criterio dovrebbe essere la qualità della brand identity generata, no?

  12. Jose

    Alla base di tutto questo casotto c’è un problema fondamentale. Il lavoro.

    Far parte di un’agenzia pubblicitaria è impresa impossibile per molti amanti della creatività. Sappiamo tutti che: o se un genio o ha buone amicizie. E che le agenzie pubblicitarie sono vere e proprie caste.

    Zooppa come dice Mirko, permette visibilità alle nuove leve (anche se molte volte il voto degli utenti iscritti solo perché sono amici trucca il concorso).

    Su Zooppa ho visto video bellissimi, progetti grafici belli e delle […] (niente parolacce, dai N.d.R.) immense che hanno il sapore di déjà vu, tra cui questo logo Upim.

    Forse la troppa libertà concessa nel brief è il vero problema per questo logo.

    Il processo destrutturante è inevitabile.

  13. Marco Massarotto

    Josè, è vero. Le agenzie sono elitarie, torri d’avorio, anche in crisi. Non è assolutamente mia intenzione fare l’apologia delle agenzie e capisco le chance per i giovani che offrono piattaforme come zooppa. Ti faccio però una domanda: se tu dovessi riprogettare la brand identity dell’azienda di cui sei a capo, quanto ti preoccuperebbe le chance che hanno i giovani creativi? Non è che per riprogettare il logo cercheresti talenti affermati ed esperti? Per me il punto è che certi “pezzi” di comunicazione sono importantissimi e delicati, ci sono/saranno altre occasioni per fare del lavoro assieme ai creativi su spazi destrutturati, ma su certe cose servono professionisti rodati, che siano o non siano dentro un’agenzia.

  14. Fabio Gasparrini

    @Mirko:
    Caro Mirko, la qualifica di professionista non la riconosce nessun Ente, e non la dà per forza una grande agenzia (la mia è piccolissima, eppure è fatta di professionisti). La danno il curriculum, l’esperienza e soprattutto il portfolio. Lo so, è il vecchio paradosso: come faccio a farmi un portfolio, se non mi danno occasioni per farmelo? Ci siamo passati tutti, ma in qualche modo abbiamo trovato il modo di trasformare il nostro talento in case history reali.

    Non è che il talento allo stato brado non esista (preferisco non parlare di “genio personale”). Ma va coltivato con l’esperienza. Non stiamo facendo arte astratta, ma strumenti di comunicazione, fatti di intuizioni creative, tecnica, studio, cultura. E il punto centrale del mio intervento è che, se fossi un grande brand, non rischierei il mio marchio in un esperimento.

    Quanto al giudizio sul bello, se è bello quel che piace, ho appunto l’impressione che non piaccia. A me no sicuramente. 🙂

  15. Till Neuburg

    Sull’argomento il mio punto di vista è cangiante – come autore di marchi, come committente, come giurato (e/o presidente di giurie), come attento osservatore di comunicazione tout court.

    Ho visto concorsi a inviti, riservati solo ai professionisti, gare open, aperti solo a studenti di design. In tutti ho visto ottime proposte, fuffa, roba così così. L’esperienza e la professionalità non garantiscono esiti di eccellenza. Può capitare che una proposta sia arguta, logica e coerente (leggi: professionale), ma anonima e moscia. Per contro, p.e. lo swoosh Nike era una delle tante proposte di un’ignota graphic designer americana (Carolyn Davidson) che all’inizio non piaceva un gran ché a Phil Knight, il proprietario dell’azienda. Oggi è forse il logo più noto e acclamato nel mondo. Il punto è un altro:

    La giuria deve essere severissima e competente, capire l’essenza del marketing (ovviamente non penso a Philip Kotler) e del design. Deve essere talmente severa che – come estrema ratio – può anche annullare un concorso e poter chiedere che i giochi vengano riaperti.

    Non dimentichiamo poi che il “successo” di un logo è un valore di difficile misurazione. Il tempo di presenza sul mercato, gli investimenti connessi, il suo vissuto “storico”, possono essere valori più determinanti del suo intrinseco design-appeal. Due esempi: lo stemmino Alfa Romeo è vecchio, quasi kitsch, eppure “funziona” proprio per il fatto che non è moderno, non è “automotive”, ed è persino di difficile riproducibilità. Eppur si muove. La citazione del cavallino rampante del pilota di guerra Francesco Baracca nel marchio della Ferrari, oggi potrebbe addirittura sembrare ridicolo, brutto, quasi osceno. Eppure, se qualcuno proponesse a Montezemolo (e a tutti gli italiani) di cambiarlo, succederebbe un patatrac – e la popolarità del nome e le vendite non sarebbero certamente più consistenti.

    Nel caso Upim sono dell’avviso che se l’azienda sta cambiando radicalmente la sua presenza sul mercato (range e/o qualità prodotti, politica dei prezzi, comunicazione, interior design, è giusto che abbiano cambiato anche il logo. A parte il fatto che la giuria avrebbe assolutamente dovuto e potuto evitare questa gaffe di contraffazione, ritengo che in questo caso la freccina posticcia sopra il nome sia priva di significato – al contrario di Accenture che parla invece con un segmento di mercato per il quale quel segno ha un chiaro e immediato valore.

  16. Jose

    Convengo con le conclusioni di di Till Neuburg.

    Se la mia azienda avesse bisogno di rifarsi la faccia per parlare ai giovani sceglierei il metodo Zooppa. Ovviamente, come ho detto prima, non lascerei un brief senza alcun indirizzo (anche un creativo navigato potrebbe impazzire così) e chiederei severità alla giuria.

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  18. Gioiacommunica

    E’ inutile dire che mi trovo in pieno accordo con Jose, sull’importanza della giuria. E mi chiedo (per mia ignoranza) quale ruolo abbia avuto in questo caso l’azienda stessa. Per quanto riguarda il logo, mi piacciono i colori, il carattere, la scritta sotto. Il legame del simbolo con la brand identity effettivamente non mi sovviene ( forse una freccina, a mo di segnaletica, ma a me ricorda la chiusura di un tag.. deformazione professionale :-p ).

  19. Marco

    Ciao, io sono d’accordo con Marco quando risponde a Mirko: quanto “rumore” ha creato, questa operazione? E in ogni caso, non ha creato rumore in un’audience molto delimitata di creativi e markettari? Forse per fare “rumore online” UPIM potrebbe si affidarsi a un concorso, ma non per il brand… magari che so io, per scegliere una dozzina di testimonial per le foto dei punti vendita da esporre per qualche mese… se identificano come target del concorso la stessa fascia d’utenza che poi crea la loro clientela allora fanno un “rumore” più utile. Certo è che i creativi sono facili da attivare, altro è attivare la clientela finale… qualcuno ha esperienza sui “tassi di attivazione”? Cercare l’azione virale dà sempre un po’ l’emozione del salto col paracadute… imho…

  20. giagina

    da frequentatrice upim (uno dei pochi negozi dove si trovano taglie “forti” di una certa accuratezza). Trovo il logo un po vecchio, slegato, senza alcuna armonia. Se cercavano un modo di far sentire il “magazzino” una cosa un po anticaglia di brescia, ben ci sono riusciti. Complimenti.

  21. Giorgio Soffiato

    Ottima Analisi Marco, come al solito. Passo rapido solo per appoggiare sul fatto che il punto non sta nel costo del logo su zooppa o in agenzia ma, come ben sottolinei, nel risultato finale. Era anche la mia idea, forse espressa troppo in fretta nel post. Quello che credo non possa non essere sottolineato è il processo che porta al risultato finale, che forse potrebbe essere alla base della “scopiazzatura” o comunque di un risultato per alcuni inatteso e non soddisfacente. Nel processo creativo mediato dalle nuove tecnologie quanti sono i punti di contatto tra creativo e azienda cliente? E soprattutto preso atto del fatto che le tecnologie disintermediano e che è quindi strutturale una diminuzione della complessità, qual’è la qualità di questi punti di contatto? Voglio dire che il rischio forte è che le tecnologie diventino un fine e non un mezzo, mi sta benissimo che le bozze si trovino su un server e una riunione intermedia avvenga su skype, ma il passaggio delle linee guida aziendali, la chiacchierata su quello che il brand deve trasmettere etc.. difficilmente possono essere trasferiti con una serie di allegati ad un post, credo sinceramente che lo spunto più bello per un creativo possa essere colto da una sfumatura di una discussione o da un momento informale. Con questo non voglio difendere le agenzie o “il vecchio modello”, voglio solo dire che se c’è un valore nell’artigianalità della creatività sta proprio in quel processo che forse strutturalmente questi nuovi mezzi semplificano troppo, ma personalmente ritengo sia anche il prezzo da pagare per un lavoro non di minore qualità, ma di certo diverso. Upim ha giocato bene le proprie carte perchè nel restyling del logo ha visto anche un’occasione per comunicare una nuova filosofia di marca, una nuova freschezza, era quindi forse scontato e previsto un risultato diverso (ben si badi, non migliore o peggiore) di quello che avrebbe prodotto una filiera creativa diversa. Gli interrogativi sono aperti, lascio solo con un’osservazione: zooppa e co devono a mio avviso allontanarsi il più possibile dal concetto di marketplace della creatività per puntare sull’idea dell’agenzia di comunicazione social, per fare questo però è forse necessario attivare le connessioni anche “tra utenti” magari incentivando il team building interno, che ne pensi?

  22. Mattia

    Io a proposito di questo argomento qualche settimana fa ho letto questo messaggio su Linkedin in cui Gianluigi Zarantonello, blogger e persona con una grande competenza nel settore, nonchè web specialist di Coin, parla del crowdsourcing.

    “A proposito del crowdsourcing e della qualità delle proposte, io credo che la contrapposizione tra social advertising e agenzie tradizionali sia un falso problema.
    Con l’azienda per cui lavoro abbiamo fatto due contest su Zooppa e non li abbiamo vissuti come l’abbandono delle agenzie tradizionali e del loro apporto strategico, visto che un brief di una pagina non può sostituire di certo ore di confronto e di brainstorming.
    Non si può però negare che nessuna agenzia tradizionale potrebbe produrre migliaia di proposte, anche fuori dal brief talvolta, creando una miriade di stimoli su cui lavorare.
    La qualità di certo è la più varia ma ci sono anche tanti professionisti che si servono di queste piattaforme per dare visibilità ai propri lavori, facilitando il contatto con le aziende.
    In sintesi dunque mi sento di dire che il crowdsourcing è una risorsa supplementare, da affiancare ai canali tradizionali e che non li sostituisce, specie per la parte strategica.
    Mi permetto però anche di dire che l’atteggiamento delle agenzie è spesso molto conservativo e polemico, invece di rifiutare in blocco il modello crowdsourcing secondo me farebbero bene a trovare delle vie di collaborazione.”

  23. Pingback: Zooppa/UPIM: i limiti dei concorsi creativi online iniziano a farsi sentire? « Marketing For Nerds

  24. Franz

    In linea di principio sono d’accordo con te quando dici che non ci si può affidare a un servizio di crowdsourcing quando si è una grande azienda che deve riposizionarsi strategicamente sul mercato. Si tratta di processi lunghi che prevedono una frequentazione lunga e approfondita tra planner/creativi e cliente.

    Ma se sono d’accordo sul principio, non riesco a esserlo nei fatti. Anzi, mi pare che nel caso della contest Upim commissionato a Zooppa i grafici e gli art che hanno aderito siano stati più ligi e rispettosi alla strategia dello stesso cliente, che ha scritto un brief in cui chiedeva di scostarsi dalla tradizione e poi ha premiato un logo che riprende pari pari la tradizione.

    Anzi, se c’è un problema che viene sollevato dal crowdsourcing non è il limite del mezzo, ma il limite nella cultura marketing dell’azienda, che sembra non avere le idee molto chiare, e se le chiarisce solo dopo aver visto le proposte, scegliendo in genere con la pancia.

    Credo che il crowdsourcing si imporrà, (per la logica dei numeri e per la progressiva commodification del lavoro creativo), ma si imporrà anche una funzione di intermediazione strategica, chiaramente non espletata da Zooppa (o se l’ha coperta, l’ha coperta male). Un intermediario che dovrà co-redigere il brief assieme al cliente, cercando di interrogarlo e chiarirgli le idee strada facendo, per poter offrire istruzioni chiare e operabili ai creativi.

    In mancanza di questo ruolo di intermediazione (che a mio avviso dovrebbe essere ricoperto da un “curator” che lavori nello staff della piattaforma), vedo profilarsi un pericolo abbastanza inevitabile: 1) Un cliente che scrive un brief tanto per fare, 2) creativi che vanno un po’ a braccio, 3) il cliente, sulla base del cumulo di proposte sceglie quella che indipendentemente dalla strategia, piace di più. E magari le costruisce sopra ex post una strategia. Roba all’italiana insomma.

    Sono dinamiche che ho visto fin troppe volte.

  25. Pingback: Crowdsourcing, social media, user genereted content… e le agenzie? « Internet Manager Blog

  26. stelvio

    Ciao a tutti,

    vi assicuro che all’interno di zooppa veri professionisti ci sono.
    Il problema reale è che Upim abbia scelto quel logo, la piattaforma Zooppa è “solo” una vetrina, un banco pieno di idee e devo dire che ce n’erano di assai migliori.
    Dal sito Zooppa:

    Premio per il migliore LOGO.
    Il vincitore sarà scelto dalla giuria di UPIM, composta da:
    – Stefano Beraldo,
    – Elio Fiorucci
    – Francesco Morace
    Titolo:Proposta “search” 1Autore:b***** Stelle:3

  27. @Marty

    Ma scusate Upim avrà scelto quel logo perchè si vede che gli piaceva quel logo!! A me sembra solamente invidia… Poi a me la risposta migliore sembra questa http://www.pop.upim.it/
    Un restyling prima del logo e ora degli store!

    A me piace molto

    [COMMENTO NON IDENTIFICATO, POTENZIALE SPAM NdR.
    Un’autrice con nome “martystelline” (stesso nick dell’autrice di questo commento come risulta dalla mail lasciata) pubblica su altri siti sempre promuovendo servizi di COIN (stesso gruppo di UPIM). Vedete lo stesso commento qui: http://www.casaspecial.com/phpBB3/una-bella-sedia–t3288.html e identico qui: http://www.arredamento.it/forum/search.php?search_author=MartyStelline E altri “commenti promozionali” qui: http://sposeperfette.forumup.it/search.php?search_author=MartyStelline&mforum=sposeperfette ]

  28. Marco Massarotto

    Marty invidiosi di cosa? E di chi? 😀

    Sul “a te piace molto” bene, i gusti, come si sa, son soggettivi… 😉 A meno che tu sia venuta qui a fare seeding per il concorso, nel qual caso il tuo parere non è nemmeno soggettivo, è semplicemente una patacca 😀

  29. Gianluigi Zarantonello

    Buongiorno,
    ho visto su Twitter che questo dibattito si è nuovamente animato, come diretta parte in causa dunque mi permetto un breve commento.

    Non credo che nella discussione che si è generata ci siano particolari questioni di invidia, piuttosto ci sono diverse visioni sull’utilizzo del crowdsourcing, con motivazioni sensate in entrambi i casi.

    Personalmente io mi sono già espresso, sottolineando come le posizioni troppo estreme in entrambi i sensi non siano, secondo me, davvero produttive (cfr. http://internetmanagerblog.com/2010/07/22/crowdsouricing-social-media-user-genereted-content-e-ruolo-delle-agenzie/).

    Sullo specifico progetto invece mi sento solo di dire che va riconosciuto all’azienda per cui lavoro il coraggio di percorrere fino in fondo (leggi applicazione del logo) la via intrapresa con Zooppa.
    Il logo forse non sarà perfetto e può piacere o non piacere, tuttavia, detto senza volontà polemica, finché le cose si discutono solo sulla carta è semplice essere decisi ma quando poi si va sul campo pochi riescono a portare a termine certi progetti.

    Per il resto sapremo se questa idea sarà un successo solo da metà settembre, per cui…chi vivrà vedrà! 🙂

    Ciao e grazie dello spazio!

    Gianluigi Zarantonello
    Web Specialist Gruppo Coin

  30. Marco Massarotto

    Grazie Gianluigi, infatti il senso del dibattito non è se il logo di UPIM sia o meno bello, sarebbe un dibattito soggettivo e noioso. Il punto era, a prescindere da UPIM a cui va dato il merito di scegliere strade non convenzionali, se le tecniche di crowdsourcing o di “Web-sourcing” siano adatte a progettare la comunicazione di un’azienda e in che modi e parti in caso. Anzi, grazie per seguire il post e aggiornarci, continua a farlo, mi interessa capire gli sviluppi del progetto. Peraltro il 23 lo citerò al panel sul crowdsourcing alla Social media Week a MIlano, dove credo ci vedremo.

  31. Pingback: Crowdsourcing…non è ancora molto chiaro… | Mooltoweb: web, web 2.0… e quel che sarà

  32. Eugenio ML

    (versione corretta non pubblicate la precedente grazie)
    Non ho letto tutti i commenti e quindi non so se qualcuno ha semplicemente pensato a un ovvio binomio commerciale: richiesta del cliente / proposta del creativo.
    Cosa c’è d’altro da indagare?
    Il nuovo logo UPIM (non ero ancora iscritto a zooppa all’epoca) l’ho commentato così: “imbarazzante”. E non cambio certo parere. A me non piace. E quindi?
    C’è il “Signor” UPIM che ha chiesto qualcosa, e una Comunità di “persone”…zooppa, più o meno capaci, più o meno creative, più o meno pratiche di software grafici, più o meno… furbe, che hanno proposto una valanga di idee. Il “Signor” UPIM (sarà pure libero di farlo no?) ne ha scelta una. E’ soddisfatto! Ha pagato, ha il suo prodotto.
    Punto! Cos’altro c’è da aggiungere?
    Che la corporazione delle Agenzie, si senta minata lo posso anche capire, ma questo è un altro discorso.
    Chiudo con questo esempio. Non so se STANDA si sia avvalsa di qualche creativo profumatamente pagato per decidere di cambiare la sua insegna col nome dell’attuale proprietà BILLA. Secondo me ha fatto una grande stupidata: STANDA aveva la sua storia in Italia..BILLA suona come fosse un hard-discount. Ma il “Signor” BILLA ha fatto questa scelta. Punto! Se è stata una scelta scaturita da un crowsourcing oppure suggerita da qualche “genio” della comunicazione strapagato, non lo so. E cosa più importante: non cambierebbe nulla.

  33. matteo

    Io vorrei porre dei punti di riflessione che si leggono tutti i giorni su riviste specializzate:
    1- vi sembra giusto che un’azienda possa utilizzare la creatività di uno che ha partecipato al contest, non l’ha vinto e non ha ricevuto 1 euro?
    2- può un’azienda permettersi di partecipare a dei contenst e non vincerne neanche uno in quanto vince magari un ragazzino che non paga le tasse?
    3- cifre di 3/4/5 mila euro sono sufficienti a produrre pubblicità? pensate solo a tutta l’attrezzatura che serve e al tempo impiegato
    4- molti sollevano il problema che gli unici a beneficiare dell’ide sono zoopa e le aziende che ricevono per pochissimi soldi molto materiale.
    5 – si certo, qualcuno ha guadagnato soldi, ma la massa ci ha perso
    6- voi quando lavorate volete essere pagati? se non ricevete lo stipendio per 1/2/3 mesi lo pagate l’affitto? quindi si può partecipare come lavoro a questi contest? sicuramente no.

    Attendo vostre riflessioni. Le mie non sono critiche ma idee da cui partire

  34. Pingback: Graphic Design Courses Online

  35. Luca Erlani

    Ho letto solo ora questo vecchio ma interessante post trovato googolando commenti su Zooppa…

    E’ significativo che quest’ultimo commento di Matteo, che da bravo “grillo parlante” ha detto esattamente le cose come stanno, sia stata la pietra tombale su questo post! In effetti anziché stare a disquisire se il logo è stato più o meno copiato ecc. qui si trattava e si tratterebbe ancora oggi di dire la verità, come ha fatto Matteo. Con Zooppa e e le altre mille che sono nate nel frattempo, possiamo celebrare un bel funerale alla PROFESSIONE di “creativo” (grafico, fotografo, videomaker ecc.)! Noi dobbiamo pagare Iva, contributi, oneri vari, commercialista, affitto, attrezzatura (io ho pagato 70.000€ solo per quest’ultima voce), e altro e poi dovremmo “lavorare” con questi concorsi in cui il 90% dei partecipanti sono studenti o “creativi della domenica” che, al caldo del loro posto e stipendio fisso, passano le serate ed i WE, scopiazzando a ds e a manca pur di coltivare il loro fuoco creativo… Pazzesco! Io mi domando per quale cazzo di motivo si tengano ancora aperte le scuole d’arte, di design, di fotografia, di grafica, quelle si chiamano scuole di disoccupati, o diciamola tutta, scuole di falliti! Andrebbero “vietate” per legge perché quella è una professione che non esiste più, basta, finito, fertig!!
    Ti serve un logo, una foto, un video? Una manciata di dollari e te lo compri online punto. Ma chi l’ha fatto un professionista? Non importa l’importante è che non costa niente! Questa è la regola, questo è il presente, questo è il futuro.
    Questo non è lavorare questo è il gratta e vinci del lavoro, hai una possibilità su 50/10/20.000 di vincere, ma per favore… Trovatemi un’altra professione tanto vituperata, inutile, sputtanata, senza futuro, senza motivo di esistere, con una concorrenza passata in 25 anni da poche migliaia a centinaia di migliaia di persone e con un mercato che è diventato inversamente proporzionale alla concorrenza!
    Non ho detto una parola sul punto 1 di Matteo che è fondamentale e sul quale si potrebbe scrivere un libro, ma preferisco fermarmi qui… ho già il voltastomaco!

  36. Bizzarre Media

    “(posto oltretutto che 12.000$ non sono per niente pochi, a cui ne andranno sommati, immagino, almeno altri 15.000€ o più dati alla piattaforma!)”
    Grazie!
    Mi sono sempre chiesto il costo per l’utilizzo di una Contest Platform.
    Non l’ho mai trovato.
    Nonostante il post sia un po’ datato hai risposto parzialmente ad una mia costante e profonda curiosità.

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