Torno ancora sul tema della WWDC 2014 di Apple dove la Human-Computer interaction e sulla Cognitive Technology hanno avuto un ruolo di primo piano e centrale, come mai prima, nel tracciare le traiettorie di sviluppo dei prodotti di Cupertino.
In particolare, per interesse professionale e personale, vorrei soffermarmi sul tema della scrittura, che vede avvenire un passaggio di rilievo su quello che è la scrittura come atto in sè. Mi riferisco all’introduzione della tecnologia denominata QuickType e che vedete illustrata in modo chiaro e semplice in questo video che dura poco più di un minuto.
Comodo eh? C’è però un passaggio che rischia di andar perso in tutta questa velocità. Quello della scelta. Scrivere è scegliere, e non lo scopre certo Apple oggi con QuickType. Scrivere è scegliere una parola, quella, proprio quella lì invece di mille altre possibili. È scegliere un destinatario, un argomento, un tono di voce. Ed è scegliere ogni volta tra tutte le opzioni possibili (non tra le tre abituali, suggerite o rilevanti secondo l’algoritmo che ha analizzato la conversazione con quella persona in quel momento) perché scrivere è un gesto creativo, fondativo.
La cosa non ha solo conseguenze su quello che facciamo quando usciamo la sera (rischiamo di passare la vita con <Pizza – Sushi – Cinema>) ma anche sul nostro linguaggio e quindi sulle nostre relazioni: posso volerti invitare a una Pizza, ma anche a una Pizzuccia o una Pizzona o una Pizzaaaaaaaa. E sono tre inviti molto diversi. Perché sono scritti in modi diversi. E mentre è certo che posso rispondere Una pizza e ci si capisce, l’automazione del processo rischia di filtrare fuori il personalismo della risposta. Se l’invito fosse un tentativo di riappacificazione tra due partner, per esempio? O un primo approccio? Un conto è sentirsi rispondere Una pizza altro è leggere un Sìììì! o un Non vedo l’ora. Certo in situazioni come questa si può sempre scegliere di fare override del sistema e scrivere a mano, ma sono infinite le sfumature e le scelte che facciamo ogni volta che scriviamo. Ed è proprio questa successione di piccole, semi-consapevoli scelte che facciamo che ci definisce. Che ci rende simpatici o antipatici. Che tesse le nostre relazioni, la nostra famiglia, il nostro lavoro.
È straordinaria anche la capacità di interpretare il “contesto” e proporre soluzioni diverse a seconda delle persone. Salverà molte riunioni, ma forse non ci salverà da un effetto filter bubble sempre più pervasivo che non riguarda più solo quello che leggiamo, ma anche quello che scriviamo.
Mentre (come scrrivevo in un post di febbraio) non vedo un allarme, anzi apprezzo la creatività del comunicare per immagini, fumetti, sticker propria delle messenger App come WeChat, Wahsapp e Line, perché amplia comunque la gamma espressiva e propone un’alternativa alla parola, e non la sua sostituzione, qui, invece, educhiamo le persone a saltare quel processo creativo di scelta della parola. E poco conta che i suggerimenti vengano dal nostro stesso linguaggio perché sono solo 3 e sono i più ricorrenti. Rischiamo di rinunciare all’imprevisto, all’originalità, al piccolo gesto di follia senza il quale rischiamo davvero di essere dei borg.
Odio i refusi e perdo ogni giorno dei minuti a correggere i miei messaggi, quindi apprezzerò certamente la pulizia e l’efficienza di QuickType che si diffonderà per certo anche sui computer. Sono sicuro che questo sistema avrà successo e ne sono anche contento perché ne vedo già l’utilità a usarlo in molte situazioni: nei taxi o mentre si cammina. Ma sono anche un po’ preoccupato che si perda la fantasia e l’abitudine di usarla.
Come per il cibo è nato Slow Food, per preservare i ritmi e i riti di un pasto, così chissà se QuickType, per reazione, farà nascere un movimento culturale di “slow writing” per assaporare e non perdere i tempi e i sensi della scrittura.
Sarebbe <bello – interessante – utile>, no dai ditelo voi cosa sarebbe…
Due considerazioni a margine, in piena linearità col tuo pensiero Marco.
Suggerire scelte è in qualche modo ridurre il numero di opzioni che gli utenti percorreranno per comunicare o ricercare. Ridurre il numero di possibilità, cluster, sfumature, ecc.
Pensiamo alla search e all’introduzione di Google Suggest: la segnalazione da parte di Google delle ricerche più diffuse per determinati termini, se da una parte aiuta gli utenti nell’affinamento delle proprie ricerche, dall’altro indubbiamente premia le ricerche già più comuni e diffuse. Le rafforza e contestualmente riduce la proliferazione di nuove combinazioni. Per Google diventa più facile categorizzare le ricerche; gli utenti meno smart hanno vita semplificata; ma io – un po’ – sento questa evoluzione anche come una massificazione.
Il T9 e brevetti similari, hanno velocizzato la scrittura si, ci hanno aiutato nell’uso dei cellulari fino ad aiutare secondo me l’affermazione degli smartphone, consentendo la scrittura di lunghi testi su un dispositivo piccolo, rapidamente. Se però suggeriscono scelte così “contestuali”, in qualche modo per una parte pigra degli utenti (che sappiamo essere maggioranza), uniformerà il linguaggio, imponendo il modello dei “linguisti” di Cupertino.
Va bene anche così, per carità. Però hai ragione piena a sollevare il ragionevole dubbio.
Grazie Marco, infatti ne apprezzo la comodità e lo userò molto. Spero non troppo, appunto 😉
Interessante, Marco. Sono un sostenitore della scrittura come atto personale, ragionato e intriso di emozioni. Ben vengano le tecnologie che ci aiutano a scrivere in mobilità, ma non possiamo ridurci solo a quelle. Lo slow writing? Già è qui, almeno da qualche migliaio di anni. Ogni giorno possiamo farlo rivivere con due strumenti semplicissimi: la carta e la penna.
Grazie Andrea. Credo un ruolo centrale lo svolgeranno anche i soggetti in carico dell’educazione.
I mezzi e gli strumenti cambieranno sempre, l’importante è l’utilizzo che ne facciamo: solitamente così si capiscono anche molte cose di una persona.
🙂
Francesca
http://www.sterlizie.com
Se vuoi approfondire il rapporto tra tecnologia e scrittura, ti segnalo questo articolo di Clive Thompson, editorialista Wired USA, che sfata alcuni miti tra “giovani analfabeti per colpa della tecnologia”, compresa la scarsità di vocabolario.
http://www.theglobeandmail.com/life/how-new-digital-tools-are-making-kids-smarter/article14321886/?page=all
Grazie Francesco. Molto interessante questo articolo. Chiarisco alcuni aspetti, a scanso di equivoci.
a) Io sono convinnto che “la tecnologia” (intesa in senso lato) renda le nuove generazioni più smart e ricche nelle relazioni
b) Non penso che la tecnologia (e tantomeno il QuickTyp) renda analfabeti, l’analfabetismo di ritorno in Italia è elevato di per sè.
Mi focalizzavo solo su questo specifico “Tool”, il QuickType e sul fatto che “suggerire le parole” con un algoritmo di frequenza/context rende la scrittura un processo (un po’ più) automatico, trattandosi però di un processo creativo e fondativo (la scrittura crea mondi) trovo questa specifica applicazione poco educativa per la fantasia e la creatività espressiva. Poi, come han detto nei commenti su facebook, questo fatto (purtroppo) riguarda una piccolissima percentuale della popolazione. Ma nello specifico “scegliere le parole” è un’arte importante che andrebbe coltivata. Chissà magari l’algoritmo in alcuni casi potrà arricchire il vocabolario di qualcuno. Mi ponevo solo delle domande.
L’ha ribloggato su serena guidobaldie ha commentato:
riflessione <> e i commenti non sono da meno