Le radici culturali di Snapchat e le prospettive per i brand.

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Vignetta del New Yorker

Come sempre è difficile stabilire quando un “servizio” (un social network o una App) stia entrando nella majority phase della sua adoption. In queste fasi le Start Up sono ancora fragili e ci sono troppe variabili per i round di Venture Capital per cui tendono a non rilasciare cifre ufficiali, se non molto generiche e sporadiche.

C’è però una pancia della rete che a un certo punto vibra e si fa sentire (sempre più amici lo usano sempre più spesso e il servizio ha sempre più nuove feature). Anche l’adozione dei termini è spesso un sintomo: un tweet, un gram, uno snap. Et voilà. Secondo me Snapchat sta raggiungendo quel livello di ebollizione. Non ci sono fondamenti statistici per dirlo, ma credo valga la pena dedicare un po’ di tempo per farne un’osservazione e alcune considerazioni. E anche di vedere comunque qualche numero!

Snap… chat!

La prima considerazione è che Snapchat si va a collocare in un filone molto consolidato e promettente: quello delle messenger app di cui avevamo parlato con buona capacità di previsione a inizio 2014. Se non è “fratello” è “cugino” di What’sApp, Line e WeChat ma è ancora libero da constraints geopolitici (What’sApp nel blocco facebook, WeChat in quello “cinese” e Line nell’enclave giapponese) e molto focalizzato sui famigerati “millennials” con non irrilevanti derive tra i 25-34.

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Che a quanto pare lo usano con crescite esponenziali.

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TechCrunch stima in 300milioni gli snapchatter attivi, dato che lo collocherebbe di già nell’Olimpo dei Social.

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Numeri già consistenti in una nicchia (le messenger app) ormai vicina al predominio (What’sApp sta arrivando al miliardo di utenti!) tracciano per Snapchat un ruolo futuro potenzialmente primario.

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Specialmente considerando la doppia posizione di vantaggio: offre un servizio di conclamato successo e funziona su una nicchia di power users (i millennials). Ci sono tutti gli ingredienti per essere “the next (e non tanto next) big thing”.

Snapchat!

Snapchat ha anche altri elementi di interesse e promettenti: è mobile first ed è visual first, fattori che hanno determinato il successo straordinario di Instagram, seppur a soddisfazione di bisogni molto diversi (il visual storytelling verso la chat relazionale/emozionale). Inoltre fa di un limite una opportunity: la velocità di consumo compulsiva dei social network, per cui i contenuti durano poco e sono di difficile archiviazione sono in Snapchat una caratteristica distintiva, se non l’essenza stessa del servizio. Tutto si consuma in uno “snap!” il tempo di uno scatto, della persistenza retinica o poco più. L’impermanenza del contenuto social in Snapchat è data come elemento ontologico: non è mai limite, è feature, anzi è riscrittura delle regole. “Panta rei”, anzi, “Panta… snap!” E, come spesso capita, chi ben intuisce un problema e ne riscrive le regole finisce per uscirne vincitore.

Popmashup!

Terzo, ma non meno importante elemento distintivo, è l’introduzione su scala globale e su piattaforma digitale di un nuovo linguaggio, che ha chiare radici giovanili e da Arcade. Per ragioni familiari mi capita di frequentare assiduamente il Giappone, dove non si trova ispirazione solo per l’enogastronomia, ma anche per la tecnologia e i costumi sociali da essa indotti. Dagli anni ’90 gli adolescenti giapponesi (categoria che nel Sol Levante può estendersi sino ai 30 anni di età!) amplificano le proprie relazioni sociali con la cultura degli sticker e dei filtri. Se non siete mai stati in un “Purikura (letteralmente Purinto Kurabu, “Print Club”) vale la pena che guardiate questo video di un minuto.

Occhioni sgranati, deformazioni grottesche, over-make-up e tante altre tecniche di una popolare subcultura giovanile giapponese ritornano dentro il nostro mobile, prima con Line, e oggi  si affermano del tutto con Snapchat. Il set di “sticker” che il Purikura stampa per le amiche da scambiarsi, con colla labile, emozioni forti e durata scarsa si transustanzia o meglio virtualizza nello snap: un ricordo social da condividere forte, flashato, ma effimero nella durata prima che nel contenuto. 

 

Snap, sticker e filters: un nuovo linguaggio!

Veniamo a noi. Che fare su Snapchat se non si è 18enni nerd, ma 40enni nel digital di un’azienda? Varie cose.

Snap here, snap there… Interessante la feature (ancora limitata agli US) del “geofence“, che consente di creare un canale “live” visibile agli utenti dove aggregare gli “Snap” di chi si trova in quel luogo. (Se siete su Snapchat questa settimana avrete visto il Paris Fashion Show…)

“Live” senza hassle (e anche senza assholes che parlano troppo). Trovo gli scatti e gli spezzoni sconclusionati di Snapchat più efficaci e meno pretenziosi di live che risentono della banda in upload e in download, della scarsa illuminazione e di mani tremule di Periscope o Facebook live. Se dovete annunciare un piano pensioni per il vostro comune, va bene un Facebook Live, se state a un Fashion Show probabilmente tre snap sono meglio di mezza’ora su Periscope.

Il Rap dei Social: parla come i tuoi consumatori. Infine trovo straordinaria l’opportunità di rendere meno ipocrita, elaborato e irrilevante il linguaggio dei brand sui social. È impossibile pensare a un “piano editoriale” su Snapchat o a catene di approvazione interne, due cose che portano più danno e omologazione che valore alla presenza dei brand sui Social Media. Snapchat non ha margini di trattativa. È istantaneo, irriverente, informale, destrutturato, immantinente e impermalente. “Hic et nunc” o “hic et snap”. Forza a cogliere l’attimo e a creare uno stile per forza di cose asciutto, secco, attuale. Un’opportunità che non mi lascerei sfuggire per nulla al mondo. 

Parla come snappi. Snapchat funziona in prevalenza con contenuti foto o brevi video customizzabili con una serie di lenti che consentono di trasformare e trasformarsi. E ha una forte carica di innovazione nel linguaggio dei suoi “snap”. I video e la fruizione sono in gran parte verticali, e questo come abbiamo visto ha molte implicazioni, ma quello del “vertical screen” non è l’unico “sdoganamento” che Snapchat fa. Con Snapchat, infatti, diventano mainstream gli sticker e i filtri (o lenses): vere e proprie subculture che spaziano da quella “skater” al “car tuning” ai biker.

Il tempo di uno snap: l’impermanenza come valore. I valori di questo linguaggio sono tutti nuovi e inattesi: formazione, iterazione e dissacrazione come matrici del linguaggio giovanilistico, dei milennial che prendono piede e potere mediatico. Potere che trattano però con leggerezza e in modo deresponsabilizzato, al limite della vacuità apparentemente, ma in realtà spendendosi e acconsentendo di farsi brandizzare, tanto è un gioco e… dura poco: 10 secondi al massimo.

 

Snap… brand!

E i brand seguono. Meglio rincorrono. Chi con stile, chi meno, questo nuovo target nei suoi spazi digitali. Non poteva mancare la caccia al tesoro, powered by H&M.

 

Fresca e ben fatta la campagna di SPRITE con attivazione dalla lattina attraverso il QR Code del fantasmino: rotonda e con un bel concetto: rinfrescati (il linguaggio) con Sprite e Snapchat.

 

 

Molto interessante Burberry la campagna di Burberry con Mario Testino su Snapchat ha l’immediatezza di cui parlavamo sopra. Non si tratta solo di tempismo da public relations (l’ormai stantio “vedi le foto prima”), ma di un linguaggio inedito: il “qui e ciao”. Se ci sei sei cool, se non ci sei, ciaone proprio: questi selfie scadono in dieci secondi. 

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Multimilionaria l’operazione di Gatorade con Serena Williams e un filtro creato ad hoc alla modica cifra di 450.000 USD al giorno!

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Interessante l’uso del NY Times che fa ampio ricorso al “takeover” degli account, affidandoli a giornalisti e celebrity. Qui una Youtube playlist con i vari takeover.

 

Fast & young. Sul social network più fast che c’è non potevano mancare Burger Kingm Taco Bell e Mc Donald’s che si contendono i consumatori millennial a colpi di snap, con una salsa fatta di customizzazione dei filtri e celebrities, gli ingredienti King e Queen dei social media.

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Un cameo del giocatore NBA James Lebron nel canale snaopchat di Mc Donald’s ora passato a Blaze Pizza.

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Uno “sponsored filter” su snapchat per Mc Donald’s

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“Snap” customizzabili per Taco Bell

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Burger King: parla come snappi.

Insomma nella sua leggerezza, nel suo essere il peep-show o il buco della serratura social e mobile delle vite (nostre e degli altri) e dei brand, dove la scena è continuamente interrotta da qualcos’altro che passa davanti Snapchat riesce anche a introdurre una nuova forma di esclusività: l’aver visto lo snap o l’averlo perso per sempre. Cari brand, capito? Ci snappiamo eh…

 

 

2 pensieri su “Le radici culturali di Snapchat e le prospettive per i brand.

  1. Sandro

    Ma ti rendi conto, vecchio stronzo, come cazzo hai scritto l’articolo? È incomprensibile, scritto con i piedi, solo tecnicismi senza spiegazioni. Articolo letteralmente di merda. Fai pena!

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