Recentemente facebook ha introdotto una modifica ai servizi riservati alle aziende: le pagine che i brand possono aprire non si chiameranno più “Fan Page” e non avranno più il bottone “Diventa Fan” come azione richiesta all’utente per seguire gli aggiornamenti della marca. Sembra una modifica da poco, ma da un lato c’era chi già si stava costruendo piani di comunicazione, dall’altro un concetto importante, che si stava pian piano affermando è stato eradicato: con quali conseguenze?
Gli operatori di digital marketing hanno passato gli ultimi mesi a cercare di introdurre nei propri benchmark, nei propri piani e nei propri report il concetto di “Fan” per un brand. In alcuni mondi (marketing sportivo, entertainment…) il concetto di Fan è connaturato alla natura stessa del mercato, sono anzi state proprio le Rockstar e le Sportstar a fare da driver su facebook per molte fanpage di successo (a proposito: come le chiameremo adesso?). Diverso il discorso per i brand, con rarissime eccezioni che fanno scuola a sé (Apple, CocaCola, HelloKItty e poche altre) le marche o le aziende non hanno “fan”, non hanno “tifosi”, non li hanno mai avuti e, soprattutto, non sanno come gestirli.
Le aziende hanno consumatori, clienti, a volte felici a volte arrabbiati, forse hanno cultori e appassionati, ma quelli di Fan (tifosi) è un concetto troppo forte che sinora non era mai rientrato nelle teorie di marketing o nelle leve da sfruttare. C’era chi addiritittura aveva immaginato l’avere “1.000 fan autentici” come la formula contemporanea del successo, i Fan come gatekeeper della popolarità verso il successo di massa.
Il concetto di fan e la “Fan Culture”, d’altronde, non li ha certo inventati facebook, anche nella comunicazione è un movimento di massa che viene osservato da alcuni anni: si pensi solo all’ottimo lavoro di Henry Jenkins con Fans, Blogger e videogamers che analizza l’insorgere di un fenomeno di costume per cui consumatori sempre più appassionati e fidelizzati intervengono nei processi creativi e comunicativi della marca “dal basso”, ma con un influenza non più trascurabile. O si veda qui da noi l’ottimo lavoro di Giovanni Boccia Artieri che con “I Media-Mondo” esplora i temi della partecipazione ai media da parte di quelli che una volta erano “gli spettatori”.
Facebook, con la sua rapida e tumultuosa ascesa e il repentino raggiungimento di 400 milioni di utenti attivi e identificati con nome e cognome, ha semplicemnte portato a galla tutto questo, rivelando il nostro essere fan della Pizza o di Totti, ma anche di Apple o della Fiat 500. Informazioni preziose, ma anche l’abbozzo di piattaforme comunicative nuove per i brand. Dopo un paio di anni alla finestra alcune aziende iniziavano a pianificare attività per la propria “fan base”, trasformandosi in editori, in entertainer, in Media Companies per dirla “à la Forrester“. Lo scoprire di avere (o di poter avere) dei Fan su Internet è stato accolto da alcuni marketing manager di casa nostra prima come una preoccupazione, poi come un fenomeno da comprendere, infine come una miniera d’oro da sfruttare. Probabilmente la verità sta nel mezzo, resta il fatto che il concetto di Fan stava producendo innovazione e sperimentazione salutari in molti piani di marketing.
Ora Facebook, preoccupata probabilmente di non avere trend di crescita sufficientemente alti negli investimenti pubblicitari a sostegno di queste pagine e di appianare uno scalino concettuale per i marketing manager meno familiari col web, ha eliminato il bottone “Become a Fan” e con esso tutto quanto ci siamo detti sopra, sostituendolo con un “Mi piace”.
C’è chi sostiene, come Fabio Giglietto, che sia un bene, dato che “diventare fan, almeno in alcune culture come l’Italia, non ha un’accezione molto positiva…” C’è poi chi cita un’email di facebook alle agenzie di advertising americane che sosterrebbe che: “‘Like’ offers a simple, consistent way for people to connect with the things they are interested in” – il like è un’azione più semplice per gli utenti – e che: “These lighter-weight actions mean people will make more connections across the site, including with your branded Facebook Pages” – con un’azione più semplice le aziende avranno più fans… pardon, amici… pardon… come li definiamo ora? Poi c’è chi si preoccupa che questa novità possa essere “al limite della truffa”, visto che siamo abituati a fare like senza subire le conseguenze” di ricevere poi aggiornamenti da una persona. Insomma un’edulcorazione dell’interazione e a mio modo di vedere è proprio questa edulcorazione il suo limite principale, che crea due problemi:
– Che fine fanno i Fan?
– Come definiamo concettualmente le interazioni tra brand e persone sui Social network?
“Che fine fanno i Fan?” è una domanda che prendo a prestito da Andrea Colaianni, ma che secondo me non significa “che fine fanno dentro facebook“, è irrilevante che fine fanno dentro facebook, secondo me “Che fine fanno i Fan?” significa che fine fanno nella testa dei direttori marketing, che fine fanno nei piani di comunicazione delle aziende. Se il termine poteva essere “troppo americano” il concetto era sicuramente innovativo e “importante”. Non abbiamo nemmeno lasciato il tempo alle aziende di familiarizzare con una nuova forma di relazione con i consumatori, con una nuova categoria di stakeholder, che subito gliela annacquiamo. “Che fine fanno i Fan?” secondo me è la domanda che gli operatori devono porsi nei prossimi mesi, cercando di trattenere quel che di buono c’era e di costruire piani, piattaforme, azioni di comunicazione che facciano leva su quella nicchia, grande o piccola, di consumatori che sono dei fan della marca, e che possono avere il ruolo di connector, di hub, di diffusori del messaggio di marca. O c’è chi ancora pensa che il viral marketing si faccia con un video “creativo”?
Definire concettualmente il ruolo dei consumatori che interagiscono con la marca nelle piattaforme di Social Networking è l’altra sfida aperta da questa decisione. Lo dico con un po’ di sollievo perché se da un lato il concetto di Fan ha una sua rilevanza, dall’altro era probabilmente riduttivo. Non tutti i consumatori disposti a interagire con la marca hanno quel grado di empatia e le interazioni possibili non si limitano solamente a azioni “da Fan”, ma saranno sempre più simili a un customer care evoluto, a un servizio clienti online, quando non a uno store, come detto in precedenza. Definire Fan i navigatori che scelgono di affiliarsi a una pagina aziendale era troppo restrittivo, una volta “salvati” i veri fan e creato loro un playground, un laboratorio dove sperimentare assieme alla marca, a mio modo di vedere è ora di passare a una relazione più matura da parte dell’azienda verso i propri consumatori online. In questo senso il “like” non aiuta, è ancora troppo emozionale, giocoso e, soprattutto, non declinabile. I “likers”? Non mi pare proprio il caso…
E se chiamassimo in soccorso il concetto di followers? Semplice, ricco di senso, già sperimentato con successo da Twitter e adatto sia a chi vuole una relazione forte ed emotiva con la marca sia a chi preferisce un approccio asettico e informativo. I navigatori possono sentirsi “Followers” nel senso di “seguaci”, “adepti”, “sostenitori” di un brand oppure possono più comodamente decidere di “Follow” di seguire un’azienda e i suoi aggiornamenti perché curiosi o interessati ai suoi prodotti o servizi.
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From Varie |
“Seguici su Twitter” è una proposizione semplice, sensata e accettabile per un brand da fare ai propri consumatori. Un negoziante non si vergognerebbe di dirla a un porprio cliente, mentre probabilmente non si sentirebbe a proprio agio a dirgli: “puoi diventare mio fan su facebook” o “Dì che ti piace il mio negozio su Internet”. In centro a Tokyo molti negozi espongono biglietti da visita che invitano a seguire su Twitter le novità, a volte addirittura è lo stesso registratore di cassa che lo fa.
Non tutto il male vien per nuocere, quindi, se le aziende sapranno trarre da questo piccolo mutamento due grandi lezioni:
1) I fan sono importanti, create uno spazio per loro.
2) La comunicazione di un brand deve essere “seguibile“, deve saper attirare e mantenere dei followers grazie a un mix sapiente di contenuti e community management.
…e in tutto questo, secondo te Marco che ruolo avranno le “Community Pages” (orribilmente tradotto in italiano con “Pagina Sociale”)???
Ben scritto, anche se io non mi vergognavo di essere fan di certi marchi.
Ted, grazie: detto da te è un onore.
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Caro Marco,
Ad inizio di aprile avevo cercato una definizione alternativa al termine followers che non mi sembrava consono, o almeno completo.
Erano emerse alcune proposte e considerazioni che forse possono essere di ausilio a quelle davvero interessanti che proponi in questo articolo. Puoi trovarle qui:
http://friendfeed.com/pedroelrey/8b034292/la-definizione-di-follower-utilizzata-su
Anche se una definizione definitiva non era stata purtroppo individuata, tra tutte “Acquaintances” sembrava in quel contesto la più indicata.
Un abbraccio
Pier Luca
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Ciao Marco.
Innanzitutto complimenti per il libro. Ho da poco finito di leggerlo e mi pare che riesca ad offrire un’ottima panoramica del ruolo del senso e degli strumenti delle conversazioni e delle persone in Rete. Sintetico ed esaustivo.
Rispetto al tema, sicuramente il termine Fan era inadeguato: troppo legato a determinati mondi e limitante rispetto al ruolo ed al livello di partecipazione che le persone possono provare rispetto alla maggior parte dei brand.
Ciò nonostante eistono marche non-celebrities or sport related con una personalità una cultura un percepito o uno “status” tali da non rendere indecente la proposta di diventare Fan. Parlo di Nutella, della 500, di Apple, di Dr. Peppers: in sintesi, di Lovemarks o di brand che si pongono come celebrità.
Il Like mi sembra un coperchio buono per tutte le pentole e comunque per i Brand di cui sopra e simili, data la tipologia di relazioni che coltivano con il proprio pubblico, suona disimpegnato e rappresenta una piccola regressione in termini di empatia e feeling.
Eccoci con la provocazione. Follower suona molto inseguitore, più che persona che segue o “amico”. Una proposta di adesione abbastanza “rischiosa”, visto che stiamo parlando di conversazioni rapporti orizzontali e coinvolgimento. E se c’è qualcuno in rete che ancora, spesso, insegue sono le marche… Se siamo uguali perché tu Marca non t’interessi anche di quanto faccio io? Perché non dovresti seguirmi?
Che te ne pare?
Spero di aver dato un buon contributo alla conversazione.
Ciao, buona giornata
Stefano
Ciao Marco, ciao a tutti.
Vorrei fare una precisazione rispetto al commento precedentemente lasciato in merito a questo post, che lo completa lo integra e ribaltare un po’ la prospettiva d’osservazione.
Si parlava di coinvolgimento emotivo ed affettivo degli utenti. Rispetto a questo punto di vista confermo la mia tesi: i lovemarks e le brand celebrities sono gli who to follow.
A discapito del coronamento più puro del concetto di engagement, però, gli utenti sono molto più pragmatici. A ricordarcelo Brandweek che ha recentissimamente ripreso l’estratto di una ricerca di ExactTarget, sbattendoci così in faccia la nuda e cruda realtà.
Il 38% degli utenti segue un brand per restare aggiornato sulle novità di prodotto; pochi meno per restare aggiornati sull’attività dell’azienda sulle vendite e ricevere rewards (promo, sconti…). Solo agli ultimi posti ritroviamo divertimento piacere e volontà d’interagire quali ragioni per seguire.
Dove va a finire tutto il nostro romanticismo? Considerando l’altra faccia della medaglia mi suona meno pragmatico il Like…
Ciao, buona serata
Stefano
http://www.brandweek.com/bw/content_display/news-and-features/digital/e3i4a25a9f106904fc1c11babbf98812573