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Whatsapp, Line e WeChat: le “messenger app” che sfidano Facebook e Twitter.

UPDATE: pochi giorni dopo la pubblicazione di questo post facebook ha acquisito WhatsApp per 19 miliardi di dollari (LINK). 

 

WhatsApp, Line e WeChat mandano un messaggio agli altri Social Network: e se il futuro fossimo noi? Ci sono molti punti a favore dell’ipotesi che le “Messenger App” (così chiamate per la loro funzione primaria di messaggistica e chat, a cui se ne vanno sommando molte) possano prendere in un futuro abbastanza prossimo una posizione di predominio nel mercato dei Social Network. Vediamoli assieme. Continua a leggere

La Storia di Instagram – Gli 8 falsi miti sulle start-up secondo il suo fondatore

Kevin Systrom, il fondatore di Instagram, l’App per condividere foto venduta in questi giorni a facebook per un miliardo di dollari, ripercorre per gli studenti di Stanford (l’università dove lui e il suo confonder Mike Krieger hanno studiato) la storia di Instagram in un bel video che ci racconta anche molto sulle Start Up e sulle dinamiche del web.

Ecco gli 8 falsi miti delle Start Up, secondo il fondatore di Instagram, tradotti e sintetizzati per voi:

1) Non si impara a fare gli imprenditori dai blog o dai libri. L’esperienza diretta ci insegna molto più di qualunque altra cosa. Un giorno sul campo vale 1 anno sui libri, e non si sarà comunque mai abbastanza pronti.

2) Non serve essere “informatici” per lanciare una Start Up. La maggior parte dei fondatori di StartUp di successo non ha studiato Computer Science. Incluso Kevin. In caso sceglietevi un cofounder geek 🙂

3) La cosa difficile non è trovare le soluzioni, ma il problema. La vera sfida è capire quali sono i problemi che gli utenti hanno e che nessuno ha mai risolto. Trovati quelli il resto è più facile.

4) Tieni il progetto segreto il meno a lungo possibile, anzi: parlane subito! Testare, fallire e sperimentare subito costa meno ed è l’unico modo per progredire.

5) Non cercate finanziamenti troppo alti o “bidding war”. La Start Up va fatta per gli utenti, non per gli acquirenti. Senza utenti non vi compreranno mai.

6) Una Start Up non significa solo sviluppare un prodotto, ma un sacco di altre cose. Tra assunzioni, tasse, finanziamenti, team building, sarete fortunati se il tempo dedicato allo sviluppo del prodotto arriverà al 50% del tempo dedicato.

7) La tua prima idea non sarà quella buona! Quasi tutte le Start Up, inclusa Instagram che all’inizio doveva fare check in e si chiamava Burbn, nascono per approssimazione e continue, successive discussioni e ottimizzazioni.

8) Le Start Up non nascono di notte. Il tempo medio di successo sono 5 anni e la strada è lunga e faticosa, sembra facile solo guardando all’indietro.

Misurare facebook

Pubblico un piccolo estratto in anteprima del nuovo libro in uscita questa primavera, come promesso ne terrò una copia omaggio per ogni aiuto significativo che verrà adottato nel libro. Ecco un tema importante, misurare le proprie attività su FB, vi pare manchi qualcosa?

Abbiamo visto quante attività e quanto diverse tra di loro si possano condurre dentro facebook. Ma come si può capire se stanno andando bene? Se l’investimento è valso la pena (ROI)? Se le performance sono migliorabili (KPI)?

È molto difficile misurare attività che hanno a che fare con reazioni umane e quindi imprevedibili e con indicatori spesso qualitativi, proviamo comunque a individuare alcune famiglie di indicatori che si possono usare per dare un valore e un giudizio alle proprie azioni su facebook. Troviamo indicatori:

– quantitativi
– qualitativi
– virali
– benchmark

Indicatori quantitativi dentro facebook

Molti ce li fornisce la piattaforma stessa, nel proprio pannello di Insights. Sicuramente sono indicatori semplici da tener monitorati e interessanti:

– il numero di LIKE (followers)
– il numero di interactions (like a un post più commento)
– il numero di post che le persone lasciano in bacheca
– il numero di visualizzazione dei contenuti postati
– il numero di vendite, prenotazioni, partecipanti a un evento generati via facebook
– il numero di link generati in uscita verso altre property

Questi indicatori danno una buona idea della dimensione della propria community e se confrontati a trend dell’andamento della sua gestione e crescita. Indicatori di questo genere sono da valutare con attenzione in occasione di campagne media che abbiano lo scopo di far crescere il numero di follower per capire che effetti abbiamo sortito.

Indicatori qualitativi dentro facebook

Di più difficile individuazione e misurazione sono però altrettanto importanti rispetto ai quantitativi, dato che si tratta di un lavoro di relazioni e l’obietto generale è quello di ampliare e ottimizzare la brand reputation. Sono indicatori quantitativi dentro facebook:

– la crescita organica di like (followers)
– il tasso di abbandono dei followers
– il sentiment dei commenti e post in bacheca
– Il trend delle interactions come misuratore della capacitò di engagement

 

 

Indicatori virali dentro facebook

Anche questi sono di difficile rilevazione, ma molto importanti perché testimoniano un elevato coinvolgimento (in positivo o in negativo) della community e ne rappresentano l’estensione al di fuori dei confini della Page aziendale.

Sono indicatori di propagazione virale:

– le condivisioni da parte degli utenti dei vostri contenuti
– i tag che la vostra azienda riceve
– i post (status update) che citano la vostra azienda e i vostri prodotti
– gli inviti che gli utenti fanno ai loro amici per farli diventare follower o per farli iscrivere a un vostro evento

Indicatori di benchmark

Non esistendo uno storico, un listino o dati consolidati è fondamentale effettuare una controverifica di tutti i dati che si monitorano (o almeno dei principali) confrontandoli periodicamente con quelli dei principali competitor (per i quali non si ha il pannello Insights, quindi tale confronto sarà ovviamente possibile per i soli dati pubblici).

Monitorare pochi dati, strutturalmente funzionali a facebook, chiari indicatori di attività e farlo in modo continuativo e incrociato co la concorrenza è il modo più semplice di avere dei KPI o un ROI facilmente calcolabili. Cercare di misurare troppi dati o di “tirarne fuori” dei valori terzi rischia di generare dei report inutilizzabili. Per strumenti complessi, servono misurazioni semplici.

Un amico vale più di mille badge? [facebook Vs. foursquare]

Una veloce premessa. La geolocalizzazione è una funzione di alcuni device tecnologici (smartphone con gps) e servizi web (social network) che consentono alle persone di identificare e comunicare il posto esatto in cui si trovano. Il fatto di condividere pubblicamente o semi-pubblicamente (ai propri contatti) la “location” in cui ci si trova innesca una serie di possibili conseguenze: scoprire chi dei propri contatti è lì, accedere a servizi mirati, scoprire l’esperienza avuta in quei posti da altre persone, lasciare traccia della propria esperienza etc etc

Una piccola parte di appassionati di tecnologia (generalmente definiti “Early Adopters”, quelli che hanno sempre le cose prima degli altri) stava già “giocando” da alcuni mesi con la Geolocalizzazione grazie a Foursquare. Foursquare è un geo-social-network costruito con molte feature tipiche di un gioco (punti da ottenere, premi da ricevere, segnalazioni da lasciare/scoprire…) che probabilmente hanno titillato la fantasia di noi early adopter, che spesso per nostra natura siamo anche un po’ geek.

Passato qualche mese i Location Based Services e la gelocalizzazione sembrano diventare il nuovo Eldorado del Marketing e la nuova frontiera di innovazione della società. Qualunque servizio web dichiara di stare sviluppando la propria piattaforma di geolocation. Passa qualche altra settimana e, dopo Twitter, anche facebook annuncia la propria soluzione: Places, rilasciato in alcuni paesi nella seconda metà di Agosto e presto anche in Italia.

Sono innumerevoli i post sull’argomento. Quasi tutti (senza ben capire perché) ritengono Places lesivo della privacy, il che a me pare abbastanza ridicolo, è come ritenere lesivo della privacy un megafono: dipende da come lo si usa, no? È controversa, invece, l’opinione sul duello tra Facebook e Foursquare per chi diventerà la piattaforma di riferimento in termini di geolocation.  Non amo fare previsioni, ma posto che, come sempre, sarà la “pancia” mainstream degli utenti a decidere le sorti di questa sfida a leggere alcuni segnali deboli pare non ci sarà partita e da qui alla fine dell’anno facebook diventerà la geo-piattaforma dominante. Proviamo a considerare i seguenti fattori:

– nonostante l’uso intensivo e invasivo di foursquare è sempre stato un numero limitato di utenti (gli early adopters) a attivare il servizio, suscitando curiosità (a volte fastidio) da parte degli altri.

– i servizi esclusivamente “geo” sono già più d’uno (foursquare, gowalla) e si contendono un mercato di nicchia

– un utente mainstream che volesse dar seguito alla curiosità e provare foursquare deve registrarsi su un servizio terzo, il che è un grande ostacolo in partenza e all’uso (anche dal device mobile serve aprire un’altra app e non la solita, cioè facebook)

– facebook places, sull’onda dell’Hype, è l’argomento del mese ed è lì: pronto da provare per tutti i 500 milioni di utenti facebook

– la apparente iniziale “povertà d’esperienza” di una registrazione effettuata con places rispetto a una effettuata con foursquare (badge, tips, punti) è apparente e ingannevole. Quando facebook places sarà a regime la “ricompensa” che se ne potrà trarre sarà molto maggiore dell’ennesimo badge, sarà l’integrazione con in nostro lifestream, sapere le relazioni che i nostri amici hanno con quel posto e tutto il Social Graph di un luogo.

Insomma, a guardarla con un po’ di distacco sembra quasi che foursquare abbia “tirato la volata” a facebook places, scatenando la community dei blogger sull’argomento, incuriosendo il pubblico generalista e sdoganando un concetto che adesso facebook può applicare alla massa. E a meno che foursquare sappia evolvere rapidamente in qualcosa di più e di utile, rischia di veder crescere le attività di geolocation su FS a ritmi esponenziali che non potrà contrastare… A quel punto su quale location vorrete registrarvi? Su quella da 20 early adopters con cui siete blandamente connessi o su quella con 200 amici?

E il marketing? Sicuramente arriverà (ci metterà un po’, prima del 2011 in Italia no vedremo, secondo me, grandi casi) e le potenzialità sono moltissime, ne riparleremo più avanti. In Israele c’è già un interessante esperimento di Coca Cola che integra Geo Location e RFID. Per finire le opportunità che la geolocalizzazione offre sono tantissime, basti solo pensare a: marketing di prossimità, rilevazione delle esperienze territoriali, promozione delle località turistiche, promozioni sul punto vendita, assistenza in mobilità…

Dai Fan al “mi piace” passando per i follower. Considerazioni semantiche e strategiche per i brand.

Recentemente facebook ha introdotto una modifica ai servizi riservati alle aziende: le pagine che i brand possono aprire non si chiameranno più “Fan Page” e non avranno più il bottone “Diventa Fan” come azione richiesta all’utente per seguire gli aggiornamenti della marca. Sembra una modifica da poco, ma da un lato c’era chi già si stava costruendo piani di comunicazione, dall’altro un concetto importante, che si stava pian piano affermando è stato eradicato: con quali conseguenze?

Gli operatori di digital marketing hanno passato gli ultimi mesi a cercare di introdurre nei propri benchmark, nei propri piani e nei propri report il concetto di “Fan” per un brand. In alcuni mondi (marketing sportivo, entertainment…) il concetto di Fan è connaturato alla natura stessa del mercato, sono anzi state proprio le Rockstar e le Sportstar a fare da driver su facebook per molte fanpage di successo (a proposito: come le chiameremo adesso?). Diverso il discorso per i brand, con rarissime eccezioni che fanno scuola a sé (Apple, CocaCola, HelloKItty e poche altre) le marche o le aziende non hanno “fan”, non hanno “tifosi”, non li hanno mai avuti e, soprattutto, non sanno come gestirli.

Le aziende hanno consumatori, clienti, a volte felici a volte arrabbiati, forse hanno cultori e appassionati, ma quelli di Fan (tifosi) è un concetto troppo forte che sinora non era mai rientrato nelle teorie di marketing o nelle leve da sfruttare. C’era chi addiritittura aveva immaginato l’avere “1.000 fan autentici” come la formula contemporanea del successo, i Fan come gatekeeper della popolarità verso il successo di massa.

Il concetto di fan e la “Fan Culture”, d’altronde, non li ha certo inventati facebook, anche nella comunicazione è un movimento di massa che viene osservato da alcuni anni: si pensi solo all’ottimo lavoro di Henry Jenkins con Fans, Blogger e videogamers che analizza l’insorgere di un fenomeno di costume per cui consumatori sempre più appassionati e fidelizzati intervengono nei processi creativi e comunicativi della marca “dal basso”, ma con un influenza non più trascurabile. O si veda qui da noi l’ottimo lavoro di Giovanni Boccia Artieri che con “I Media-Mondo” esplora i temi della partecipazione ai media da parte di quelli che una volta erano “gli spettatori”.

Facebook, con la sua rapida e tumultuosa ascesa e il repentino raggiungimento di 400 milioni di utenti attivi e identificati con nome e cognome, ha semplicemnte portato a galla tutto questo, rivelando il nostro essere fan della Pizza o di Totti, ma anche di Apple o della Fiat 500. Informazioni preziose, ma anche l’abbozzo di piattaforme comunicative nuove per i brand. Dopo un paio di anni alla finestra alcune aziende iniziavano a pianificare attività per la propria “fan base”, trasformandosi in editori, in entertainer, in Media Companies per dirla “à la Forrester. Lo scoprire di avere (o di poter avere) dei Fan su Internet è stato accolto da alcuni marketing manager di casa nostra prima come una preoccupazione, poi come un fenomeno da comprendere, infine come una miniera d’oro da sfruttare. Probabilmente la verità sta nel mezzo, resta il fatto che il concetto di Fan stava producendo innovazione e sperimentazione salutari in molti piani di marketing.

Ora Facebook, preoccupata probabilmente di non avere trend di crescita sufficientemente alti negli investimenti pubblicitari a sostegno di queste pagine e di appianare uno scalino concettuale per i marketing manager meno familiari col web, ha eliminato il bottone “Become a Fan” e con esso tutto quanto ci siamo detti sopra, sostituendolo con un “Mi piace”.

C’è chi sostiene, come Fabio Giglietto, che sia un bene, dato che “diventare fan, almeno in alcune culture come l’Italia, non ha un’accezione molto positiva…” C’è poi chi cita un’email di facebook alle agenzie di advertising americane che sosterrebbe che: “‘Like’ offers a simple, consistent way for people to connect with the things they are interested in” – il like è un’azione più semplice per gli utenti – e che:  “These lighter-weight actions mean people will make more connections across the site, including with your branded Facebook Pages” – con un’azione più semplice le aziende avranno più fans… pardon, amici… pardon… come li definiamo ora? Poi c’è chi si preoccupa che questa novità possa essere “al limite della truffa”, visto che siamo abituati a fare like senza subire le conseguenze” di ricevere poi aggiornamenti da una persona. Insomma un’edulcorazione dell’interazione e a mio modo di vedere è proprio questa edulcorazione il suo limite principale, che crea due problemi:

– Che fine fanno i Fan?

– Come definiamo concettualmente le interazioni tra brand e persone sui Social network?

“Che fine fanno i Fan?” è una domanda che prendo a prestito da Andrea Colaianni, ma che secondo me non significa “che fine fanno dentro facebook“, è irrilevante che fine fanno dentro facebook, secondo me “Che fine fanno i Fan?” significa che fine fanno nella testa dei direttori marketing, che fine fanno nei piani di comunicazione delle aziende. Se il termine poteva essere “troppo americano” il concetto era sicuramente innovativo e “importante”. Non abbiamo nemmeno lasciato il tempo alle aziende di familiarizzare con una nuova forma di relazione con i consumatori, con una nuova categoria di stakeholder, che subito gliela annacquiamo. “Che fine fanno i Fan?” secondo me è la domanda che gli operatori devono porsi nei prossimi mesi, cercando di trattenere quel che di buono c’era e di costruire piani, piattaforme, azioni di comunicazione che facciano leva su quella nicchia, grande o piccola, di consumatori che sono dei fan della marca, e che possono avere il ruolo di connector, di hub, di diffusori del messaggio di marca. O c’è chi ancora pensa che il viral marketing si faccia con un video “creativo”?

Definire concettualmente il ruolo dei consumatori che interagiscono con la marca nelle piattaforme di Social Networking è l’altra sfida aperta da questa decisione. Lo dico con un po’ di sollievo perché se da un lato il concetto di Fan ha una sua rilevanza, dall’altro era probabilmente riduttivo. Non tutti i consumatori disposti a interagire con la marca hanno quel grado di empatia e le interazioni possibili non si limitano solamente a azioni “da Fan”, ma saranno sempre più simili a un customer care evoluto, a un servizio clienti online, quando non a uno store, come detto in precedenza. Definire Fan i navigatori che scelgono di affiliarsi a una pagina aziendale era troppo restrittivo, una volta “salvati” i veri fan e creato loro un playground, un laboratorio dove sperimentare assieme alla marca, a mio modo di vedere è ora di passare a una relazione più matura da parte dell’azienda verso i propri consumatori online. In questo senso il “like” non aiuta, è ancora troppo emozionale, giocoso e, soprattutto, non declinabile. I “likers”? Non mi pare proprio il caso…

E se chiamassimo in soccorso il concetto di followers? Semplice, ricco di senso, già sperimentato con successo da Twitter e adatto sia a chi vuole una relazione forte ed emotiva con la marca sia a chi preferisce un approccio asettico e informativo. I navigatori possono sentirsi “Followers” nel senso di “seguaci”, “adepti”, “sostenitori” di un brand oppure possono più comodamente decidere di “Follow” di seguire un’azienda e i suoi aggiornamenti perché curiosi o interessati ai suoi prodotti o servizi.

From Varie

Seguici su Twitter” è una proposizione semplice, sensata e accettabile per un brand da fare ai propri consumatori. Un negoziante non si vergognerebbe di dirla a un porprio cliente, mentre probabilmente non si sentirebbe a proprio agio a dirgli: “puoi diventare mio fan su facebook” o “Dì che ti piace il mio negozio su Internet”. In centro a Tokyo molti negozi espongono biglietti da visita che invitano a seguire su Twitter le novità, a volte addirittura è lo stesso registratore di cassa che lo fa.

Non tutto il male vien per nuocere, quindi, se le aziende sapranno trarre da questo piccolo mutamento due grandi lezioni:

1) I fan sono importanti, create uno spazio per loro.

2) La comunicazione di un brand deve essere “seguibile“, deve saper attirare e mantenere dei followers grazie a un mix sapiente di contenuti e community management.


Crowdselling: è giunta l’ora di vendere ai propri fan di Facebook?

Ne avevamo parlato in un posto poco tempo fa: tra i motivi per cui gli Internet Users americani seguono un brand su facebook c’è la possibilità di avere sconti e “special offers” (vedi qui). Ora eMarketer torna con nuovi dati (volendo anche un po’ ovvi, come sottolinea Luca) che ci dicono che il primo motivo dichiarato per seguire un brand su facebook è ricevere “discounts and promotions”.

Oltre a ciò più di metà degli utenti facebook e il 67% di quelli twitter intervistati dichiarano che sono più propensi a acquistare e/o a raccomandare (!) un prodotto che “seguono” sui Social Network. Che si stia raggiungendo il sogno di ogni marketer: misurare direttamente in vendite gli effort di marketing?

Quali forme di vendita possiamo immaginarci in questo scenario: credito telefonico/dati venduto a te e al tuo network di amici? Vendi tre abbonamenti per me e ti regalo un iPhone? Trova chi compra una macchina con te e la usa le ore in cui a te non serve? Alcuni lo chiamano Crowdselling, di sicuro le opzioni sono molte.

Diciamo che per adesso il segnale dà un valore prospettico molto concreto alle azioni sui Social Media e che forse Automotive, Telco, Banche dovrebbero osare un po’ di più e “tentare” azioni anche commerciali. Resta aperto il discorso della piattaforma: quando facebook prevederà l’ecommerce? Come saranno gestite le transazioni? Un Social Network diventerà la più grossa banca mai esistita?

Social Media Marketing / Web Vs. Facebook: due modelli a confronto.

Internet e facebook: due tipi di “griglia” molto diversi. Il World Wide Web è per definizione una griglia aperta in cui tutto è condivisibile, riprendibile, cercabile. I Social Network e facebook in particolare, invece, sono griglie chiuse o semichiuse. In cambio di una profilazione molto penetrante e grandi accelerazioni di contatto, posso però vedere solo i contenuti di persone che hanno accettato di essere miei amici o contatti, posso cercare solo tra questi profili e spesso in modo limitato.

Questo diventa un bel problema quando un Social Network arriva a 8/9 milioni di utenti, ma si hanno solo poche migliaia di amici. Diventa un bel problema per chi deve innescare azioni di P.R. o solo predisporre rassegne o monitoraggio della online reputation di un brand.

Alla domanda (oggigiorno frequente) “Cosa si dice del mio prodotto su facebook?“, l’unica vera risposta onesta è: Non è dato saperlo. E’ possibile sapere cosa dicono di un prodotto i propri amici o amici di amici, ma in modo molto ridotto.

Gli strumenti di monitoraggio della reputazione, interni a facebook, infatti  sono:

– la search, che appunto non mostra i contenuti di chi non ci è amico e dà in ogni caso una ricerca non sui contenuti, ma sui profili/pagine (cioè il risultato non è il contenuto ma la pagina/profilo relativa alla search effettuata.)

Lexicon, che però evidenzia solo gli argomenti più discussi e non consente di cercarlo per il brand desiderato.

Diversa la natura dei problemi in fase di promozione, per i quali rimando sia alle slide presentate all’Università di Ancona, sia a post successivi. 

Il punto è quindi: come muoversi, sia in termini di ascolto, sia in termini di contatto/diffusione dei contenuti su un sistema a griglia chiusa, dove se un utente parla di me non lo vengo a sapere?

My 2 cents: strutturare profondamente e intensificare sempre più la propria presenza, il proprio network e contare sul modello “sociale”, per cui buoni contenuti attirano sempre più utenti e loro stessi fungeranno da vostre “antenne”.

Cliccate sull’immagine per ingrandirla.

 

LINKS

L’evento di oggi, 11 maggio a Ruling Companies

Scarica il dossier di Lele Dainesi: Social-Networking

Segui l’evento live sulla pagina facebook di The Ruling Companies

Su facebook, privacy, Obama, politici, aziende, ADV, fiducia… (+ TRADUZIONE)

…insomma un po’ tutte le cose di cui si parla e si dibatte anche da noi riguardo il social network che conta ormai circa 6 milioni di italiani che almeno una volta ci sono passati.

Di facebook qui in Italia se ne dibatte a volte con poca cognizione di causa (pare ci siano politici italiani che su facebook ci vogliono andare, ma “solo in prima pagina!“) o con troppi tecnicismi, spesso facendo molta confusione o sollevando inutili conflitti tra media. Quale opinione migliore di quella di chi facebook lo ha creato? 

Mark Zuckerberg , il fondatore e CEO di facebook.com, risponde (ovviamente in inglese) a tutte le vostre domande su facebook durante un’intervista rilasciata al DLD09

GUARDA IL VIDEO (in inglese, HD 37′ 59″)

Io trovo interessante che Zuckerberg faccia continuo riferimento al concetto di Trust (fiducia) e al fatto che viviamo in un sistema di relazioni in cui ognuno di noi è arbitro (e responsabile) della fiducia che riversa nelle proprie relazioni (offline e online).

Quanta parte della popolazione italiana è in grado oggi di riconoscere a quali servizi dare fiducia sul web? E a quali persone con quali conseguenze? Personalmente ho sempre ritenuto e sostenuto che il problema è un problema di cultura/literacy digitale, a prescindere dal servizio di moda del momento (un anno fa youtube era il ricettacolo di ogni male, ora non se ne parla più).

Una maggior diffusione della cultura digitale aiuterebbe le persone, i politici e anche le aziende a usare meglio un mezzo nuovo sia a protezione della loro immagina sia come potente strumento di promozione.

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ALCUNI PUNTI DEL DISCORSO DI MARK ZUCKERBERG TRADOTTI IN SINTESI

1) La crescita vertiginosa di Facebook e il paragone con MySpace

02’00”-03’00” circa – […] le ultime statistiche ci danno più di 150 milioni di utenti worldwide. Credo che facebook e MySpace siano molto diversi. MySpace la vedo più come una media company, mentre noi vediamo facebook come una “technology company” che aiuta la gente a comunicare meglio e condividere meglio le informazioni”. Cerchiamo di sviluppare facebook proprio per agevolare questo: lo scambio di informazioni e per rendere il mondo un posto più aperto e trasparente. […] 

09’00”-09’30” circa […] c’è questo nuovo trend per cui le persone condividono sempre più informazioni, ma in modo sempre più frenetico e frammentato. Pubblicano piccoli pezzi di informazioni, di vita in modo molto veloce e semplice. […]

10’30”-11’00”   […]  Questo è lo scopo di facebook, della nostra azienda: dare alla gente il potere di condividere e rendere il mondo un posto più aperto e trasparente. (ha davvero ripetuto le medesime parole N.d.R.) […]

2) La privacy e il controllo dei dati

11’20”-11’45”  […] Abbiamo sempre fatto di tutto per dare alle persone il controllo sulle loro informazioni e la loro privacy. Credo questo sia la ragione del nostro succeso in Germania, per esempio. (l’intervista ha luogo in Germania N.d.R.) dove le persone sono molto attente alla privacy. La filosofia di facebook è sempre stato pensare che la gente ha voglia di condividere più informazioni, se può scegliere esattamente con chi condividerle. […]

13’00”- 14’00” […] E’ sbagliato pensare che, siccome abbiamo molti dati dei nostri utenti, siamo tentati di farne un uso distorto. Per due motivi: il primo è che il mondo ormai è trasparente, la cosa si saprebbe subito e la gente smetterebbe di usare facebook. Ma il motivo più importante per cui non ha senso che lo facciamo è che più siamo in grado di trasmettere fiducia alle persone più facebook cresce, quindi è contro il nostro interesse  non rispettare le informazioni e la privacy. […]

14’10”- 15’30” […] Ci sono moltissimi utenti che usano i Privacy Settings per modificare i loro dati o la visibilità di quei dati. In particolare troviamo importante che si diffonda la consapevolezza di poter controllare i propri dati e che è facile farlo.[…] (Qui, a mio avviso, stenta un po’. Sa molto di risposta pronta, ma probabilmente si può comunicare meglio e di più la possibilità di limitare l’accesso alle proprie informazioni. Ovviamente facebook vive tra due spinte, quella etica e quella di massimizzare la condivisione, e quindi la partecipazione e il successo. N.d.R.).  

3) Le foto e i tag

16’20”- 17’30” […] Il discorso delle foto riguarda un punto fondamentale delle dinamiche umane. Le foto su facebook funzionano così: si può caricare una foto dove ci sei tu, taggarti e tu, in caso, puoi successivamente rimuovere il tag. Se uno pubblica una tua foto sulla tua pagina, tu puoi rimuoverla. E comunque la possibilità di taggarti ce l’ha solo la gente che è tua “amica”, con cui ti sei connesso e di cui ti fidi. Ma la vera domanda è: nella vita reale se io ti dò una foto tu puoi darla a qualcun altro, giusto? Su facebook noi privilegiamo chi carica l’informazione, il quale ha diritto a impedire agli altri di ridistribuire un’informazione, un contenuto, una foto. […]

18’40”- 19’10” […] Il punto fondamentale è la fiducia. E’ ovvio che è impossibile per facebook fare da “poliziotto” per tutti. Bisogna che impariamo a riconoscere i nostri veri amici e di chi fidarci. Ovviamente interveniamo subito se qualcosa di illegittimo viene pubblicato, ma se qualcuno ha diritto a pubblicare un’informazione o una foto non possiamo farci niente.  […]

20’10”- 21’15”  […] Ognuno decide per sè quanti e quali amici avere su facebook, se avere solo amici che conosce di persona o aggiungere sconosciuti. Il concetto di fondo è il Social Graph, la mappa sociale delle persone. Vista la velocità con cui oggi, grazie a Internet si diffondono le informazioni, trovo che uno strumento che ti consente di controllare con chi condividere le tue informazioni sia molto importante. […] (anche qui Zuckerberg circumnaviga intorno al punto, la domanda era: dobbiamo essere più attenti a chi scegliere come amici su faceboook? – N.d.R.)

4) Facebook e le aziende

22’15” 23’00”–  […] Ci sono molti modi in cui le aziende possono raggiungere le persone su facebook. Ci sono le pagine di prodotto. Molti usano dei finti profili di persone, altri sviluppano applicazioni. Lo scopo è poter contattare le persone, scrivere loro un messaggio, entrare nel loro flusso di news. Ci sono due applicazioni che fanno questo su larga scala, una è ILike (dedicata alla musica) e una è Causes, dedicata al sociale, che consente alle persone di diffondere consapevolezza e raccogliere soldi per varie cause.  […]

24’30” 25’20” […] Il concetto di fondo è che costruire una connessione con una persona (che sia da un profilo, da un pagina, da un gruppo) è un valore. Una persona con cui si è connessi, infatti, la si può contattare quante volte si vuole (o finché si stufa e ci elimina come amici N.d.R.). Questo cambia i modelli di marketing su Internet, basati sul clickthrough (se una persona clicca il mio annuncio pago). Qui invece è completamente diverso, se ho una connessione con una persona questa può “cliccare” o attivarsi con me un numero indefinito di volte, dipende dalle mie capacità relazionali. […]

5) Facebook Connect

25’50” 27’00 […] Facebook Connect è la vera evoluzione di facebook. Sin dall’inizio abbiamo dato alle persone la possibilità di costruire applicazioni, veri e propri “pezzi” di facebook, ma abbiamo subito messo in chiaro che presto avrebbero potuto fare lo stesso anche al di fuori di facebook. Spesso molte persone vogliono fare entrambe le cose: costruire uno spazio legato a facebook, ma esterno dove posso controllare il dominio, la grafica le funzioni etc etc, e contemporaneamente, costruire qualcosa dentro facebook, in un ambiente che la gente conosce e di cui si fida. Credo che facebook connect sarà sempre più importante, abbiamo già centinaia di migliaia di sviluppatori che usano la piattaforma di facebook e che useranno facebook connect. Ci concentreremo molto su questo nel 2009. Filosoficamente vogliamo dare a chiunque la possibilità di condividere informazioni con lo stesso controllo che hanno dentro facebook sia che siano dentro sia che siano fuori. […]

6) Facebook e revenue

27’20” 30’20”  […]  Ho sempre detto, anche l’ultima volta che ero qui in Germania (l’intervista ha luogo nel 2009 in Germania N.d.R.) che non stiamo pensando agli incassi, ma alla crescita e alla diffusione di facebook: questo è il nostro obiettivo. Non ci piace parlare molto di soldi, e non solo perché siamo una società privata e quindi per definizione siamo riservati. Non lo facciamo anche perché siamo in un momento storico in cui la gente pensa troppo ai soldi, mentre io voglio ricordare a chi lavora in facebook che siamo uno strumento di comunicazione. Comunque siamo molto soddisfatti, i proventi vengono principalmente da due attività. La prima sono le vendite di advertising, abbiamo iniziato negli Stati Uniti e lavoriamo con 2/3 dei più importanti advertisers e stiamo aprendo in tanti altri paesi. L’altra attività sono le vendite di ads online, per cui anche un privato può comprare dei piccoli annunci. Ci aspettiamo una  riduzione della crescita, dovuta alla contingenza economica, ma, appunto, si tratterà solo di una crescita meno forte, ma comunque di crescita.  […] 

7) Facebook e la politica

32’30” 33’30”  […] La cosa davvero unica della campagna di Obama è stato l’uso diffuso di diversi strumenti dei cosiddetti social media. In questo modo Obama ha comunicato direttamente con le persone, in un modo molto democratico, senza passare per altri media. Ha usato moltissimi servizi, ma quello su cui ha avuto il maggior numero di contatti è facebook. Credo che ora ne abbia 4 o 5 milioni: una cifra incredibile. Il punto è la capacità di comunicare direttamente con le persone, inserendo messaggi nel loro flusso di news, nei loro messaggi privati e potendo continuare un dialogo nel tempo.   […] 

8 ) Facebook e la società

34’10” 35’20”  […] Quando siamo partiti con facebook non immaginavamo nemmeno lontanamente questo tipo di diffusione. E’ fantastico vedere come il mondo si stia muovendo verso un maggior desiderio di condivisione e verso una maggior apertura e trasparenza (E tre! N.d.R.). Pensando a queste dinamiche non mi sorprenderei di vedere facebook crescere molto ancora. Oggi le persone possono collegarsi e parlare e scambiarsi informazioni tra di loro, invece di dipendere da un giornale. Ciò significa che le persone stesse possono organizzare movimenti, iniziative, relazioni. Possono informarsi e decidere in quale ristorante andare o interagire con un governo e scegliere assieme come regolare la vita pubblica. Penso che vedremo sempre più di questi fenomeni in un mondo sempre più aperto e trasparente (E quattro! N.d.R.) […]

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In conclusione Mark Zuckerberg tiene il palco e risponde alle domande con una prontezza, una maturità e un senso etico straordinario per avere 24 anni. Ogni tanto sembra un po’ “programmato“, ripete dei mantra in gran parte condivisibili, ma a volte un pelo distaccati dalle domande. Allargando il punto di vista, a mio modesto avviso, emergono due considerazioni:

-mediaticamente e dal punto di vista dell’informazione ci stiamo muovendo su delle direttrici che hanno accelerazioni troppo forti in questo momento perché chiunque possa pensare di averne il controllo o una visione del punto di arrivo

-in Italia siamo un paese di vecchi: il fondatore di facebook ha 24 anni, Obama 47, assieme ne hanno 71: meno del Presidente della Repubblica o del nostro Presidente del Consiglio che è anche presidente della più importante media company italiana. Se non costruiamo un sistema paese in grado di produrre innovazione, invece di conservazione conteremo sempre di meno.

 

video visto su Social Media Corner