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La reputazione online

Da Focus di ottobre:

Sei finito su Internet! Sul nuovo numero di Focus, cosa succede se su Internet parlano male di te (e, quando serve, come rifarti una reputazione)

Oggi ho tenuto un interveto durante il ciclo di incontri di Codice Internet, il titolo del panel era: La comunicazione delle aziende online. Per caso al mattino passando in edicola vedo il numero di ottobre di Focus. Il problema della reputazione online e di cosa si dice online è già chiaro alle persone.

Se il più noto mensile nazionale di divulgazione di massa mette addirittura in copertina il problema, significa che le aziende dovrebbero aver già  compreso il problema della propria reputazione online. Un’azienda che non lo avesse ancora fatto, dovrebbe darsi come obiettivo per il 2009 quello dell’analisi e della gestione della propria online reputation. Basti pensare al recente caso Carrefour. Penso sarà l’argomento dell’inverno anche su questo blog.

Animali sociali: anche i cani e i gatti fanno social networking

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Un post estivo, ma alla fine con dei risvolti interessanti. United Cats e United Dogs sono due social network dedicati a gatti e cani. Il vostro micio può diventare amico del gatto della vicina o di una gattina svedese. Il vostro cane può abbaiare e litigare con un mastino di Parigi o decidere di riprodursi con una barboncina di razza di Philadelphia. Scherzi a parte i proprietari dei cani hanno la possibilità di esprimere la loro creatività e il loro amore per gli animali, di conoscere persone con cui condividere esperienze, suggerimenti, problemi. Non stupisce che i due siti siano tradotti in 15 lingue e contino già decine di migliaia di “cani” e “gatti” registrati.

Ma c’è anche un altro risvolto che riguarda il marketing. I social networks per “animali” possono essere una miniera di informazioni e un’ottimo momento di contatto per le marche.

– Quale posto migliore per chi produce cibo per animali per conoscere il proprio mercato?

– E per un produttore di auto per capire come fare macchine più dog-friendly o promuovere alcune caratteristiche delle proprie vetture presso una nicchia di target molto interessante (i pets costano molto, chi ha un cane e un accesso a Internet probabilemnte è anche un buon prospect).

– E  se un tour operator volesse promuovere pacchetti con agevolazioni per chi ha animali?

Insomma, è sicuramente una delle nicchie più scanzonate del web, ma potrebbe essere interessante, e sicuramente è la conferma che i consumatori sul web oggi vanno approcciati in modo trasversale e secondo le LORO esigenze e necessità.


*= In foto Misha il gatto della settimana su United Cats.

La courtesy page: esserci anche quando non ci si è

Vi consiglio di leggere l’interessante post di Sean Carlos su AnteZeta che traccia una piccola e divertente analisi con delle interessanti considerazioni riguardo la courtesy page di alcuni dei servizi più noti sul web. La courtesy page è la pagina che appare quando un sito non è raggiungibile e, verosimilmente, ci sono dei problemi. E’ una piccola situazione di crisi in cui diventa importante rinsaldare il legame di fiducia col visitatore e informare in modo tempestivo e completo. Ma può anche essere l’occasione di strappare un sorriso, dimostrando contemporaneamente di avere cura del proprio pubblico sin nei dettagli.

Vai al post su AnteZeta

(Qui sotto la celebre e ironica courtesy page di Twitter)

ebook n°2 – RSS Marketing

Scarica GRATIS il pdf (11 slide, 4,5MB) per stamparlo o leggerlo full screen: clicca QUI

La pagina dedicata agli ebook la trovate QUI.

Creative Commons License
Rss Marketing by Marco Massarotto is licensed under a Creative Commons Attribuzione-Non commerciale-Non opere derivate 2.5 Italia License.
Based on a work at www.internetpr.it.

Una interessante ricerca gratuita di Charlene Li di Forrester Reseacrh sugli RSS: qui

…e se lo dice Kotler.

Arriva un po’ ultimo, il Grande Vecchio, come si è autodefinito, ma almeno si spera farà presa su scettici, spaventati e incerti. Tra le citazioni (VIA B&Blogs) dell’incontro a Milano di ieri:

Le aziende devono “aprirsi ai consumatori e stabilire una relazione”

Basta con le 4 P, ora siamo al CCDVTP (Create, Communicate, Deliver, Value,Target, Profit

Le aziende devono “create an experience (a good one)”

Ha menzionato il “word of mouth”, il “buzzing” e pure il mitico “Facebook”

Cose che forse sentiamodire da un paio di anni, ma certo un endorsement del genere ha comunque il suo valore.

Per chi non lo sapesse Philip Kotler è considerato il massimo esperto mondiale di Marketing ed è autore di un altrettanto famoso manuale su cui si sono formate generazioni di marketing operatives: qui su Wikipedia.

Comunicazione digitale, catodica, tipografica…

Leggo questo post su Ted Disbanded, di Francesco Taddeucci, uno dei copywriter più premiati d’Italia. Riporta una interessante segnalazione di un intervento di Nick Law sul nuovo modo in cui le coppie creative delle agenzie dovrebbero lavorare. In sintesi Law propone di aggiungere una “digital person” alla coppia copywriter/art director.

Questa ossessione, tutta pubblicitaria, di riferirsi al mondo del web come al “digitale”, di chiamare i progetti relativi a Internet “digital” tradisce sin da subito una scarsa familiarità col web. Mi spiego meglio, tutto il sistema pubblicitario, probabilmente per effetto di qualche guru che ha usato il termine “digital” per la prima volta, fa un gran parlare di “digital” creativity, “digital” strategy etc etc.

Se i “digital advertisers uscissero fuori dalla loro digital-nicchia si renderebbero conto che sono solo loro a chiamare Internet “media digitale” (che fa anche un po’ ridere…). Pensate se si riferissero alla tv e agli spot come “comunicazione catodica” o alla stampa come “comunicazione tipografica” 🙂

Anche estendendo il concetto di “digitale” al mondo della telefonia mobile o alle nuove forme di TV, la sostanza non cambia. Il problema non è fare una comunicazione digitale o più digitale rispetto al passato, il problema è sempre quello: fare una comunicazione che funzioni.

Oggi la comunicazione, anche solo quella offline, passa da mille canali. Non so se gli eredi degli scrittori e pittori americani di inizio secolo* possano farcela da soli, o anche accompagnati da una “digital person”. Io nel team di comunicazione della mia agenzia/azienda vorei registi, DJ, street artist, giornalisti, fotografi, graphic designers, programmatori Ajax o Ruby e i pubblicitari quelli con una visione strategica, che sappiano concepire e coordinare un concetto forte su cui lavorare tutti assieme.

*=Copywriter e Art Director sono due figure che nascono assieme all’advertising e quindi assieme alla stampa, ai giornali. Erano di solito pittori di grido o di tendenza e scrittori di romanzi d’avanguardia assoldati dalle prime “Agenzie” di pubblicità che facevano compravendita di spazi. Il concetto di creatività pubblicitaria nasce dal fatto che la pagina era un’inserzione, un’intrusione nei contenuti del giornale e quindi doveva dare qualcosa in cambio: emozione, stupore, fascino. Serviva qualcosa di nuovo, di creativo, appunto. Poi è arrivata la televisione, ma registi e attori non sono quasi mai entrati nel processo creativo, così come non lo sono entrati i DJ con la radio. Adesso Internet sta coagulando i linguaggi, stimolando le relazioni brand-consumer, creando ogni giorno nuovi linguaggi e modi di interagire: chissà se basta una digital person a fianco di copy e art? 🙂

Nella foto la costruzione del Times Building, sede del NY Times: credits qui

Una (micro) presentazione su microblogging e aziende

Ieri, presso la School of Management del Politecnico di Milano si è svolto il Microcamp, un barcamp dedicato al microblogging e i suoi utilizzi. Il microblogging racchiude quelle piattaforme quali Twitter, Tumblr, il nuovo BeeMood e altre che consentono, e anzi incentivano, la pubblicazione di brevissimi messaggi in stile SMS e una interazione minima, ma esistente, tra chi vi prende parte.

All’ultimo minuto mi hanno chiesto di fare un intervento sul ruolo che il Microblogging può avere nella comunicazione aziendale. Visto il contesto ho pensato di fare una micropresentazione lunga esattamente 140 caratteri (spazi inclusi, proprio quelli consentiti da Twitter). Ve la riporto qui con qualche nota sotto.

Relationship: il microblogging offre una forma basica, ma comunque interessante di socializzazione sul web, che può essere l’embrione di un network di consumatori o stakeholder per le aziende

Corporate Mood: la brevità e la frequenza di pubblicazione favoriscono la spontaneità dei contenuti, trasmettendo l’immagine di un’azienda e del suo management da un angolo nuovo e più fresco.

Brand status: i prodotti vivono di continui aggiornamenti e novità, uno strumento agile e flessibile quale il microblogging può essere particolarmente utile per dare aggiornamenti continui.

In sostanza la conclusione può essere che il microblogging favorisce la valorizzazione di quei “microcontenuti” aziendali che spesso non trovano altra visibilità.

Un giorno di “ordinaria” popolarità

Nelle settimane scorse è esplosa la polemica sulla pubblicazione sul sito dell’agenzia delle entrate delle dichiarazioni dei redditi degli italiani nel 2005. Internet si infiamma, il primo blogger che segnala la notizia passa nel giro di 24 ore da 100 a 60.000 visitatori (leggete qui, sì da cento a sessantamila in un giorno). A ruota arriva la stampa, la tv, la radio. La conversazione passa dall’online ai mainstream media ai bar.

Oltre a essere spesso il propulsore di questi vorticosi passaparola, Internet ne consente anche la misurazione. In questo grafico vediamo l’impennata di conversazioni sul ministro Visco in occorrenza del giorno in cui è uscita la notizia. Monitorare non solo i picchi, ma gli andamenti e le reazioni delle persone a un avvenimento, a un lancio di un prodotto, a una campagna di comunicazione penso sia un’opportunità straordinaria e a portata di mano di qualunque azienda.

Grazie a BlogMeter

A volte la si fa un po’ semplice…

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Leggo ora questo post di Seth Godin. Mi è piaciuta molto la frase:

What will change the game is actually changing the game. Changing the experience of talking about you so fundamentally that people will choose to do it.

Per cambiare le regole, bisogna cambiare le regole… (potremmo riassumerla così).

Mi è piaciuta perché mi capita molto spesso ultimamente di incontrare persone che pensano che per attivare, stimolare, provocare le persone a parlare di un prodotto o di un brand basti dire: “parla di noi!” o basti mettere uno spot su YouTube. Ne scrive anche Gianluca, nel suo ottimo blog minimarketing (QUI), sul tema del vero/finto coinvolgimento delle persone.

Alla fine il concetto è molto semplice: la gente parla (e scrive, anche su Intenet) di quello che reputa interessante: se una marca non è interessante, probabilmente non ne parlerà nessuno. Quindi la sfida per un brand, oggi, è essere (o diventare) interessante.

* = immagine tratta da I Can Has Cheezeburger, uno dei blog più popolari al mondo